«Il Natale è una delle occasioni che abbiamo nell’anno, sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista sociale, per fermarci un attimo e non dare per scontato ciò che in altri giorni, in altre fasi dell’anno, possiamo rischiare di dare per scontato. Una delle cose più terribili è dare per scontate le persone, con quello che rappresentano, con ciò che sono, con quello che significano profondamente per noi, previamente a ciò che realizzano e fanno. Allora vorrei davvero esprimere una grande gratitudine perché ci siete e poi anche, nello specifico, perché so la generosità, la passione con cui tantissimi di voi lavorano». Ha esordito con queste parole l’arcivescovo mons. Roberto Repole all’incontro di mercoledì 20 dicembre con dipendenti, collaboratori e volontari della Curia per il tradizionale scambio di auguri di Natale.
Mons. Repole ha quindi ringraziato i presenti per l’impegno nel cammino di rinnovamento della Curia «secondo le indicazioni che sono state date» e ha confidato che «ciascuno ci metta anche il suo cuore e la sua intelligenza». Perché, ha spiegato, «non credo che a un Vescovo spetti di offrire dei progetti da realizzarsi con un disegno fatto a tavolino e poi semplicemente da applicare. A un Vescovo spetta di dare qualche prospettiva, facendo in modo che l’intelligenza, il cuore e la fede delle persone interagiscano con le prospettive che vengono date, perché siamo tutti “pietre vive”».
Dopo i ringraziamenti l’Arcivescovo ha formulato il suo augurio per il Santo Natale proponendo due riflessioni, tra loro correlate. La prima è che «c’è una meraviglia non soltanto nel fatto che il figlio di Dio nasca, ma certamente nel fatto che si faccia bambino inerme e che venga depositato in una stalla. E credo abbia un valore fortemente simbolico, perché dice la parte anche apparentemente meno dignitosa dell’umanità, la parte che vorremmo tenere un po’ più nascosta, quella meno pulita». Tuttavia, ha aggiunto «credo che ci sia un grande valore in questo, perché ci dice che tante volte passiamo molta parte della nostra esistenza e spendiamo tante energie a difenderci proprio dalla “stalla” che è in noi, mentre il messaggio del Vangelo è esattamente all’inverso, cioè hai a che fare con un Dio che non ha proprio paura di entrare lì dentro».
La stalla – ha spiegato mons. Repole – sono le nostre fragilità quotidiane, le malattie, i problemi famigliari, i peccati veri e propri… «Credo che sia consolante pensare che Dio intervenga non in un modo magico perché toglie tutto questo, ma perché ci entra dentro e ci mostra un altro modo di affrontarlo e di viverlo». E c’è una stalla anche nella Chiesa: «Credo che ci sia un difetto di pensiero teologico e spirituale quando riteniamo che la Chiesa sia una realtà totalmente a parte da questo mondo. La Chiesa è un pezzo di mondo in via di trasfigurazione». Il Figlio di Dio viene anche in questo Natale «non per farci difendere dalla stalla che c’è nella Chiesa, ma per farcela guardare forse con un po’ più di tenerezza». E, se lo facciamo, «credo che siamo anche più capaci di uscire e di non avere paura delle stalle di questo mondo, senza dover dare dei giudizi universali tutte le volte».
La seconda riflessione ha preso le mosse dal terzo libro Adversus Haereses di Sant’Ireneo di Lione, secondo il quale «il Verbo di Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi perché l’uomo possa abituarsi a comprendere Dio e perché Dio possa abituarsi a dimorare nell’uomo». Cioè, ha spiegato mons. Repole, «noi abbiamo avuto bisogno che il Figlio di Dio si incarnasse per cominciare ad abituarci a prendere Dio con noi (comprendere)» e Dio ne ha avuto bisogno «perché ogni uomo è unico e irripetibile, quindi in qualche modo Dio deve abituarsi a ciascun cuore, a ciascuna vita, e forse anche perché noi stessi siamo diversi nelle diverse stagioni della nostra esistenza». E se le cose stanno così, ha concluso, «allora vuol dire che questo Natale è diverso da quello dell’anno scorso, di due anni fa… e può significare qualcosa di diverso. Tanti auguri!».
In allegato la trascrizione integrale degli auguri.