Sabato 26 ottobre 2024, nella conferenza stampa a conclusione dei lavori della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, è stato presentato il Documento finale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” (in allegato) e sono stati illustrati alcuni dei contenuti principali.
Ai lavori della Seconda Sessione, avviata in Vaticano il 2 ottobre 2024, hanno partecipato 368 membri, di cui 272 investiti dal munus episcopale e 96 non vescovi. Mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, era tra i cinque prelati designati dalla Conferenza episcopale italiana.
Il Documento finale del Sinodo ha valore di Magistero
Il Documento finale del Sinodo, è stato spiegato in apertura della conferenza stampa, ha valore magisteriale. La scelta del Papa di non pubblicare una esortazione post-sinodale intende dare ulteriore rilievo alla sinodalità e al lavoro assembleare. Il teologo e segretario speciale del Sinodo mons. Riccardo Battocchio ha spiegato che ciò che ha dichiarato il Pontefice è conforme alla costituzione Episcopalis communio in cui si dice che, se approvato espressamente dal Romano pontefice, il Documento partecipa del suo Magistero, non con valore normativo, ma dando delle linee di orientamento.
“C’è un documento che non è scritto ed è l’esperienza – ha aggiunto il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo – una esperienza che nell’ultimo anno è stata bellissima. Il primo frutto è il metodo sinodale, che è allo stesso tempo la chiave per poter indirizzare altre tematiche”. Il card. Jean-Claude Hollerich, S.I., relatore generale, ha ricordato che lo scorso anno c’erano nell’assise gruppi di maggioranza e minoranza reciprocamente sospettosi. Con il crescere nel metodo è cambiato questo atteggiamento, “alcune opinioni restano diverse, è inevitabile, ma quest’anno abbiamo veramente vissuto la sinodalità. Nessuno era triste. Ora dobbiamo diventare ambasciatori di questo frutto. Non ci siamo infatti riuniti solo per guardare alle strutture della Chiesa o per fare una battaglia tra fazioni”.
Cambiare linguaggio: la Chiesa non è una multinazionale
Nel Documento finale, è stato precisato, si tende a non parlare più di Chiesa universale, intendendola come multinazionale con varie sedi succursali, o come un centro commerciale con diverse propaggini periferiche. Bisogna fare proprio un nuovo linguaggio: esiste infatti una comunione di Chiese, a testimoniare che è possibile essere uniti nella dottrina, come membra di un unico corpo in Cristo. Le Chiese locali non sono dunque “livelli” ma semplicemente “modalità diverse di vivere le relazioni”. Tant’è che, ha precisato Battocchio, quando il Papa dice che il Documento “non è normativo” non significa che non impegna le Chiese ma indica una direzione da prendere tutti insieme nella pluralità che caratterizza fin dalle origini l’essere Chiesa di Cristo. “Non si tratta pertanto di leggi che vengono da una istanza centrale da adattare nelle periferie, ma si tratta di rispondere a un appello alla conversione (non solo morale), cioè un appello a vivere le relazioni ecclesiali in modo diverso”.
Radicati e pellegrini
“Radicati e pellegrini” è la prospettiva in cui la Chiesa vuole rispondere e testimoniare in un mondo globalizzato, ha affermato il segretario speciale padre Giacomo Costa, S.I. rispondendo a una domanda su come contemperare le istanze delle Chiese orientali, soprattutto relativamente alle liturgie, e quelle della Chiesa latina, tenendo conto delle migrazioni, spesso forzate, che rischiano di far perdere tradizioni, riti, peculiarità religiose-culturali: “Il radicamento è essenziale – ha detto il segretario speciale gesuita – ma non possiamo viverlo con muri, arroccati nelle proprie posizioni”. E aggiunge che uno degli aspetti più belli per l’assemblea è stato proprio riscoprire il patrimonio delle Chiese orientali, una grande ricchezza.
Costa ha richiamato un punto essenziale: la Chiesa latina e quella cattolica non sono la stessa cosa. Non coincidono, proprio perché c’è una ricchezza da cogliere nel modo differenziato in cui la fede si è incarnata. Questo dunque è da preservare ma non con rigidità bensì cercando le vie di “come trasformarci noi”. “Dobbiamo diventare una sorta di hub in cui persone così diverse possono riconoscersi come fratelli e sorelle, figli di un unico Padre”.
Laici e ministri ordinati, figure integrate
Riguardo al n. 76 del Documento finale si è precisato che “non si tratta di contrapporre ciò che può fare il ministro ordinato e ciò che può fare il laico”. Sono servizi diversi che possono essere vissuti in maniera integrata e dinamica, i laici non devono essere considerati “supplenze”. E questo deve valere certo in aree remote del mondo, ma anche nell’Europa sempre più secolarizzata dove, afferma Hollerich, “si può prevedere di dare spazio a più figure”, posto di intendere la Chiesa in una visione non piramidale ma comunitaria.
Nella liturgia, tema questo che rientra tra quelli ancora da valutare, “non c’è un piano per sostituire sacerdoti con i laici”. Certo, laddove è opportuno e concorre a una maggiore aderenza con il vissuto particolare del territorio, “può esserci una liturgia più partecipativa”. Hollerich ha raccontato per esempio di celebrare spesso nella sua diocesi, dove sono molti i portoghesi, in questa lingua, talvolta anche usando il messale brasiliano che prevede un coinvolgimento più ampio. In effetti, l’importanza dell’eucaristia domenicale è emersa molto nel corso dei lavori sinodali, come “luogo dove si impara e si può capire anche simbolicamente cosa vuol dire costruire comunità che vivono autenticamente il Vangelo”.
Il diaconato femminile resta una questione aperta
“Già la Ratio attuale prevede una varietà di figure che partecipano alla formazione dei ministri ordinati”, ha spiegato monsignor Battocchio a proposito del contributo femminile nei Seminari e di come potrà eventualmente evolvere. “Si tratterà di vedere nei vari contesti. Ci sono molti Seminari in cui la partecipazione di famiglie, di uomini e donne che non sono membri del clero è attiva”. Dal canto suo, il cardinale del Lussemburgo afferma: “Io non voglio privare i seminaristi del contributo che le donne possono dare”. Qui il cardinale Grech ha raccontato di quando ha di recente visitato un luogo in Europa dove c’era una coppia che assisteva in questo ambito: “E’ già un’esperienza, non una trovata dell’assemblea sinodale. Anche in America latina sono già in atto questi doni, carismi e ministeri che l’assemblea apprezza”.
La questione del diaconato femminile può restare aperta? È l’altra domanda che ha provocato i relatori in conferenza stampa. Hollerich ha affermato che “si tratta di un problema molto delicato”. E ha fatto notare che il Papa non ha detto né che le donne saranno ordinate, e nemmeno che non lo saranno:”Ha detto che resta una questione aperta”.
Il destino dei Gruppi di studio
I dieci “Gruppi di studio” concluderanno i loro lavori a giugno 2025. Sul destino del loro lavoro padre Costa non ritiene sia previsto un ritorno a questa Assemblea ma un rimando alle Conferenze episcopali di tutte le Chiese che rappresentano: Del resto il Papa ha detto che vuole continuare ad ascoltarle, non per insabbiare le decisioni, ma per dare più tempo al discernimento.
Fonte: Vatican News del 26 ottobre 2024