Mercoledì 24 ottobre, presso il Seminario Metropolitano di via XX Settembre 83 a Torino, mons. Cesare Nosiglia ha presentato la Lettera pastorale «Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio» dedicata dallArcivescovo ai popoli nomadi (Rom, Sinti) che vivono nelle nostre città.
La Lettera pastorale è dedicata ai popoli nomadi (Rom, Sinti) che vivono nelle nostre città (anzi, spesso «ai margini» delle nostre città) e fra le nostre case. Si tratta, sovente, di famiglie e gruppi che conducono lesistenza in condizioni molto difficili, tanto dal punto di vista materiale quanto, e forse soprattutto, da quello culturale e spirituale.
Insieme con la Lettera pastorale è stato pubblicato un breve documento, elaborato e firmato da alcuni dei gruppi che a Torino sono impegnati con i nomadi (Comunità di SantEgidio, Terra del fuoco e Migrantes). Il documento si intitola «Vogliamo vivere insieme» ed è stato presentato al Prefetto di Torino, al sindaco, ai presidenti di Provincia e Regione nonché ai responsabili delle Asl, dellUfficio scolastico regionale e ai presidenti delle Fondazioni bancarie. Intende essere uno «strumento operativo» per indicare che cosa si può fare concretamente per avviare a soluzioni i problemi di chi vive nei «campi».
Di seguito un’ampia sintesi dei contenuti della Lettera pastorale ai Rom e ai Sinti a cura di Marco Bonatti, direttore de «La Voce del Popolo».
Un posto nel cuore di Dio
LArcivescovo inizia la Lettera rivolgendosi direttamente al popolo nomade e chiedendo di «avere fiducia». «Conosco tanti di voi, vi ho visitato nei campi dove vivete scrive mons. Nosiglia – vi ho incontrato in molte occasioni per le strade della nostra città e dei nostri paesi. Ho nel cuore gli occhi di tanti uomini, donne, bambini, ragazzi e nella mia preghiera trovate tutti posto. Ma soprattutto vorrei dirvi che avete posto nel cuore di Dio, che non dimentica nessuno di voi. Conosco le vostre sofferenze, le umiliazioni, le difficoltà, ma anche i vostri sogni, le vostre speranze, la fatica di raggiungere una vita migliore. So che sperate un futuro più bello per i vostri figli e per le vostre figlie: i vostri figli sono il vostro tesoro. Vorrei dirvi: abbiate fiducia! Abbiate fiducia nella possibilità di dare unistruzione, una casa, un lavoro ai vostri figli! Abbiate fiducia di avere un posto migliore tra noi, nella nostra città e nei nostri paesi. Abbiate fiducia di poter essere amici di noi non rom e non sinti, ma tutti figli dello stesso Dio, che è Padre di tutti. Lo dico ai cristiani, ma anche ai musulmani: siamo tutti figli dellunico Dio, Padre di tutti noi. Siamo fratelli e sorelle».
«Avere fiducia» significa, prosegue lArcivescovo, non credere di risolvere i problemi della vita con la violenza o con la delinquenza e lillegalità», ma piuttosto affermare «la dignità dei vostri popoli, quella che voi difendete con lonore di una vita buona, fiduciosa, rispettosa di voi stessi e degli altri, capace di offrire il contributo della vostra umanità alla costruzione di una vita più bella per tutti: rom, sinti e manush uniti. Il nostro futuro è vivere insieme, come una grande famiglia. In una famiglia si vive insieme ma nessuno è uguale ad un altro».
La base della convivenza
È questa realtà della convivenza la base da cui partire per costruire un rapporto sereno tra i popoli nomadi e quelli che non lo sono. Ed è questo anche il principio ispiratore della Lettera pastorale: rivolgendosi prima di tutto e direttamente ai nomadi mons. Nosiglia intende far rimarcare la necessità di superare diffidenze e divisioni che appartengono a epoche passate, caratterizzate da società chiuse, in cui ogni integrazione era difficile. La realtà di oggi è completamente diversa, e certe «frontiere» sono cadute per sempre. Anche per questo non ha senso cercare di confinare i nomadi un «ghetto culturale», né affrontare i problemi di relazione con i popoli Rom e Sinti come una questione di carattere puramente assistenziale. Il «popolo più giovane dEuropa» è anche quello che subisce più di ogni altro le conseguenze di un atteggiamento di chiusura di cui la nostra società che si vorrebbe «civile» sembra non rendersi neppure conto.
LArcivescovo si rivolge poi «ai rappresentanti delle istituzioni politiche e civili», ringraziandoli per il loro impegno ma ricordando anche che «il lavoro non è finito». Il cammino dellintegrazione e della convivenza oggi si è avviato con laccesso allistruzione, alla salute, alle opportunità di lavoro. Ma ricorda lArcivescovo – «la vera equità si fonda sempre sul partire dallultimo e significa non scoraggiarsi mai, non lasciarsi trascinare dalla corrente del consenso». Nella crisi attuale (morale e culturale, prima che economica) le vittime sono soprattutto i poveri e tra i poveri vi sono certamente i Rom e i Sinti. «La loro ridotta aspettativa di vita in un Paese longevo come il nostro nota mons. Nosiglia – la dice lunga sulla loro povertà. È doveroso assicurare alla giustizia coloro che delinquono, ma non possiamo accettare la generalizzazione che si compie ai danni di tutto un popolo, costituito prevalentemente da minori».
Si tratta, continua lArcivescovo rivolgendosi agli amministratori e ai responsabili delle istituzioni, di coltivare il «coraggio del futuro» anche confrontandoci con il popolo nomade: «Non temiamo di gettare nuovi semi di un futuro in cui Rom, Sinti e manush possano vivere insieme: saranno case, opportunità di lavoro, istruzione e salute per qualcuno per arrivare a tutti. Non temete la sproporzione tra i mezzi e le necessità: la solidarietà dei cittadini sopperirà a quello che manca. Abbiamo bisogno della Vostra voce, della Vostra opera, delle Vostre scelte sagge perché ci sia, in mezzo a tanto disorientamento, un segno di fiducia nel futuro, anche nelle nostre capacità di affrontare le difficoltà e le sfide che sembrano insuperabili».
Cristiani e nomadi
Una terza sezione della Lettera pastorale è indirizzata alle comunità cristiane della diocesi. Mons. Nosiglia ricorda che da tempo la Chiesa torinese «ha visto fiorire splendide vocazioni di dedizione ai Rom e Sinti» e lancia la sua provocazione: «mi chiedo se tra voi non ci siano giovani, famiglie, sacerdoti, religiose, anziani che potrebbero adottare nellamicizia fraterna una famiglia rom o una famiglia sinta. Forse vivono proprio vicino a voi, ai confini delle vostre parrocchie. Forse sono lontani; ma si sa che i poveri non sono di nessuno: chiunque si può legare a loro. Chissà che qualcuno tra voi non possa accompagnare amichevolmente, fraternamente, una famiglia a trovare casa, ad avviarsi al lavoro, a superare le difficoltà con la scuola, a farsi curare quando è necessario, a condividere le gioie e i dolori della vita».
Non si tratta di inventare gesti eccezionali, ma di saper coltivare la propria capacità di accoglienza nella vita quotidiana: esattamente come i cristiani torinesi sono capaci di fare, con grande generosità ed efficacia, di fronte a tante altre emergenze o situazioni di povertà. È un modo di testimoniare il Vangelo, e dunque di farlo conoscere anche fra chi apparentemente ne è più lontano. LArcivescovo scende poi nel dettaglio di indicazioni pastorali specifiche per la catechesi rivolta ai nomadi, rivolgendosi anche «a chi non professa la fede cristiana». A questi «dico di non temere: la Chiesa attraverso i suoi figli e figlie che vengono a trovarvi e si coinvolgono con i vostri problemi vi è vicina e amica perché ci unisce tutti la fede in Dio misericordioso e potente, la ricerca dei valori di giustizia, amore vicendevole e pace. Gli oratori e i gruppi associativi, le scuole e le realtà sportive sono cantieri privilegiati dove si può sperimentare lincontro amicale e apprezzare le diversità». Sullistruzione scolastica, e quella professionale in particolare, lArcivescovo si sofferma nellultima parte della Lettera, per sottolinearne linsostituibile valore di strumento di formazione e integrazione reciproca.
Il sogno di Dio
Rivolgendosi infine «a tutti gli uomini di buona volontà» mons. Nosiglia chiede di «non rassegnarci a considerare il problema dei Rom e Sinti irrisolvibile. Mettiamoci insieme in gioco e scegliamo la via non solo del confronto ma dellimpegno fattivo delle buone opere e non scoraggiamoci di fronte alle inevitabili sconfitte, ma continuiamo a scommettere sul sogno che ho cercato di descrivere in questa Lettera. Non è solo il mio e di tanti volontari e operatori che lavorano nei campi e con i rom e sinti, ma è – ne sono certo – il sogno di Dio, di quel Dio che ascolta il grido del povero e ci ha mostrato in Gesù il volto, le mani e il cuore di una persona umana aperta a tutti sempre e comunque che ci ha comandato di amare anche i nemici e chi ci ha fatto del male».
a cura di Marco BONATTI