Sono ricorsi alla canzone Dolcenera di De Andrè per dare senso al piano di interventi post alluvione. Lacqua che porta male, sale dalle scale, spacca il monte e affonda il ponte è quella che il 4 e 5 novembre del 2011 ha invaso la città di Genova. Alcune centinaia gli sfollati, circa duemila aziende finite sottacqua, un campo nomadi di ottanta persone spazzato via: è il tragico epilogo di una esondazione che ha messo in ginocchio diversi quartieri popolari del capoluogo ligure, causando oltre 400 milioni di euro di danni, trenta dei quali per i soli immobili. Nel suo breve corso di soli 30 chilometri – il torrente Bisagno ha colpito oltre 10.000 famiglie, rendendo in buona parte inagibili i piani terra e i semi interrati soprattutto del quartiere che, da sempre, si chiama semplicemente La Foce.
Tutta la Valbisagno era terreno ghiotto per una città che lotta contro la mancanza di spazio. Da fine 800 gli insediamenti si sono addossati al torrente, spesso in secca. Ma dal dopoguerra ad oggi sono state almeno dieci le inondazioni. Tanto che le assicurazioni non stipulano polizze agli esercizi commerciali del quartiere, causa alto rischio. Quel novembre erano quasi le 14 quando un affluente del torrente, il Fereggiano, è straripato, come il Rio Torbido, il Mermi, il Geriato e altri.
«Mezzora di inferno. Lacqua ha travolto tutto ciò che ha trovato: auto, edicole, case, negozi. Si è infilata in ogni spazio disponibile, ha ucciso sei persone. Lincredulità ha velocemente lasciato il posto prima alla disperazione, poi alla rabbia e, infine alla solidarietà». È don Marino Poggi a parlare, direttore di Caritas Genova, che ha voluto incontrare nei giorni scorsi i direttori delle Caritas di Piemonte e Valle dAosta per dare conto di come sono stati impiegati i fondi raccolti nella nostra regione circa un anno fa. 150.000,00 euro raccolti da buona parte delle Chiese piemontesi, centomila dei quali trasferiti alla Caritas Diocesana di Genova, cinquanta a quella di La Spezia e altrettanti alla Caritas di Massa Carrara.
«Le risorse economiche provenienti dal Piemonte,da altre regioni conciliari, dalla CEI, da tante persone generose e dalla Fondazione CaRiGe spiega don Marino sono state impiegate per il soccorso nellemergenza dei primi giorni, per laccompagnamento degli alluvionati nelle settimane successive, per il sostegno alla riabilitazione socio economica del territorio (soprattutto verso le piccole imprese a conduzione familiare) e per il ripristino di alcune strutture sociali e socio pastorali danneggiate». 600.000,00 euro sono stati spesi per laccompagnamento di 110 famiglie del medio Levante, del Centro, della bassa e media Val Bisagno con interventi mirati al vitto, allalloggio, allabbigliamento e allarredamento.
Altri 350.000,00 euro hanno dato vita a programmi di sostegno a 200 piccole attività commerciali, inventando anche un fondo di garanzia capace di fare anticipo contante. Trenta strutture socio pastorali (tra cui alcuni plessi scolastici) sono state aiutate a ripartire. 20, infine, le famiglie accolte temporaneamente in locali sistemati a tempo di record come albergo sociale. Il contributo piemontese è stato spalmato su tre progetti specifici: 25.000,00 euro sono andati per la fase della prima accoglienza a famiglie sfollate, 35.000 per i nuclei più svantaggiati che ancora oggi non sono riusciti a rientrare nelle loro case, 49.000 euro per sostenere 19 piccoli esercenti gestori di pizzeria, panificio, bar, drogheria, cartoleria, macelleria ed anche un negozio di estetista a Molassena. La zona ha una forte vocazione artigianale, per il 70% a conduzione familiare. 1300 in totale quelle colpite.
«Lemergenza è ora terminata. Ad un anno di distanza stiamo lavorando per allestire due opere che divengano segno della fraternità: alcuni piccoli alloggi adibiti ad ospitalità temporanea per persone in difficoltà ed un piccolo emporio solidale che consenta alle fasce più vulnerate di fare la spesa in modo dignitoso. Il nostro auspicio termina don Marino è che le due opere ricordino alla città e alla nostra Chiesa che dal fango può nascere anche la solidarietà». In effetti da subito gli angeli del fango si sono materializzati: uomini, donne e tanti giovani che, spontaneamente, armati di badile e secchio si sono messi a disposizione, gratuitamente e senza tanta pubblicità. Un ricordo che rimarrà indelebile in tante persone, come nellesercente di una ferramenta che ha commentato: «In due giorni si sono alternati in ottanta a spalare nel mio negozio. Vorrei abbracciarli e ringraziarli tutti, ma non so nemmeno i loro nomi».
Il direttore genovese lascia gli amici subalpini in fretta per recarsi a Cento, nel bolognese, a restituire un po di affetto a chi adesso vive la sofferenza del terremoto ringraziandoci ancora una volta. Grazie a te, don Marino, e a tutti i genovesi per averci dato questo straordinario segno del fango.
Pierluigi Dovis
Direttore Caritas Diocesana Torino
Delegato Regionale Caritas Piemonte e Valle dAosta