La genealogia terrena di Cristo è destinata convincere gli Ebrei che Gesù corrisponde alle caratteristiche del Messia atteso: discendente di Davide, appartenente alla tribù di Giuda. Un albero di generazioni forzato anche a rispondere al criterio numerologico, i tre cicli doppi del numero 7, che evocano altri simboli di autorità divina.
La liturgia accompagna le prime parole del Vangelo di Matteo con una delle ultime pagine del libro della Genesi, dove il primato della tribù di Giuda emerge con forza definitiva: dopo la Genesi di fatto la vicenda delle altre tribù scompare e si disperde, e la «storia sacra» si concentra sul cammino dei discendenti di Giuda. E le altre? Nella sterminata letteratura ebraica uno dei temi più accattivanti è rappresentato dal destino delle «tribù perdute della casa d’Israele», che si sarebbero disperse a Oriente, in attesa di ricongiungersi, un giorno, nella Terra Promessa (e molte di queste leggende raccontano frammenti di verità storica: perché si ha notizia di presenze ebraiche, fin dai secoli antichi, anche in Cina…).
Rimane questo «primato di Giuda» con cui fare i conti. Dio sceglie i suoi, si direbbe; agli Ebrei che conoscevano benissimo i termini della benedizione di Giacobbe il Vangelo sottolinea proprio la purezza e l’autenticità della discendenza di Gesù. Ma il Vangelo vuole «accompagnare» gli stessi Ebrei verso la salvezza universale che è di tutti gli uomini.
Marco Bonatti