Il cuore della storia sacra – l’Incarnazione del Signore – ci appare sempre come una vicenda umanamente «incredibile»: una vergine che partorisce un figlio, angeli che appaiono in sogno a Giuseppe e ai re Magi… Eppure fin dall’inizio il Vangelo ci ammonisce sulla nostra incredulità: «Nulla è impossibile a Dio» (Luca 1, 37). Ma noi umani facciamo una gran fatica a rinunciare alle certezze consolidate che ci vengono dalla nostra esperienza, dalla storia, dalle leggi e dai costumi sociali – tutte le cose su cui si fonda l’ordine del «nostro» mondo. E in questo modo ci giochiamo la possibilità di entrare nella «logica di Dio», comprenderne le ragioni e conoscerne i doni.
Nel «Processo a Gesù» di Diego Fabbri fa dire all’«intellettuale», uno dei personaggi che partecipano al dibattito: «È proprio l’uomo che non è cambiato nonostante il passaggio di Cristo! È l’uomo che non cambia! (…) Gesù di Nazareth non solo non riuscì, allora, a cambiare la viltà di Pietro, la gelosia di Giovanni, la doppiezza di Giuda, ma non è riuscito, poi, nei secoli, a mutare la cieca incredulità degli uomini. Perché un Dio non dovrebbe poter cambiare quel che ha fatto, non dovrebbe poter restaurare l’opera sua, se fosse davvero un Dio?».
Apparentemente lucida, la riflessione dell’intellettuale continua a essere la stessa dei contemporanei di Gesù, che non hanno compreso i segni che venivano dalla loro stessa storia. Dio, con la venuta di Gesù Cristo, ha compiuto l’operazione contraria: ci ha restituito, intera, la nostra libertà. Quella profonda di comprendere e di scegliere tra un certo ordine del mondo e Dio stesso che ci viene incontro. La libertà di scegliere la fede. La gente insegue Gesù per i miracoli, ma sono pochi quelli che comprendono che il vero potere non è nel guarire il corpo ma nel mandato del Padre: è ad essi che Gesù dice «La tua fede ti ha salvato».
Marco Bonatti