«Avete visto? Altre 65 lettere di licenziamento». I preti e i diaconi arrivano nella canonica di Cuorgnè alla spicciolata, perché non è facilissimo parcheggiare, nel giorno di mercato. E le notizie che portano non sono buone: la crisi morde in tutte le città e i paesi di questa porzione di Canavese storicamente «agganciato» alla diocesi di Torino, anche se inserito in un’area dai riferimenti complessi, tra Chivasso, Ivrea, Ciriè. I licenziamenti sono quelli annunciati dall’ennesima impresa che non ce la fa più. Ma qui suonano particolarmente amari: questo è stato uno dei «distretti industriali» di punta, ai tempi del boom siderurgico italiano. E ancora oggi lo stampaggio rappresenta comunque il riferimento principale per l’industria e dunque per il sostentamento di centinaia di famiglie sul territorio.
Le Unità pastorali 34 e 35 corrispondono al territorio dell’antica zona vicariale 24 di Cuorgnè. E, pur mantenendo una propria identità, hanno da tempo messo in comune una lunga serie di realtà, servizi, persone. A cominciare dai preti, che si ritrovano ogni 15 giorni tutti insieme perché, pur fra molte differenze, le comunità vivono realtà simili, tra valli montane, piccoli paesi e città «a misura d’uomo». L’équipe di Unità pastorale si muove a tutto campo, dai giovani alla famiglia, alla catechesi, al servizio della carità; e, come in molte altre realtà della diocesi, si cerca di mettere in comune le attività di formazione di animatori, catechisti, operatori pastorali. In linea con il cammino della diocesi si è costituito anche un gruppo «mirato» battesimale: una trentina di persone che sta attuando le indicazioni della Lettera pastorale dell’Arcivescovo «Devi nascere di nuovo», portando al centro del servizio pastorale la preparazione al Battesimo e dunque gli incontri con le famiglie. Battesimi che si celebrano ancora: la media delle parrocchie è di 25-30 l’anno, con numeri più alti nei centri maggiori.
Il gruppo dei preti è composito ma ha imparato a lavorare insieme: accanto ai «canavesani doc» ci sono sacerdoti provenienti da altre parti della diocesi, e qualcuno che arriva da molto più lontano, quelli che una volta erano «paesi di missione». Ora si attende, anche, il ritorno di dom Carlo Ellena, vescovo di Zé Doca in Brasile, originario di Pertusio, che ha compiuto 75 anni e rassegnato le dimissioni. E non si dimentica il «segno» lasciato da grandi preti del passato, come il mitico canonico Cibrario, il parroco della guerra; e come don Franco Peradotto, Direttore della «Voce», vicario generale e molto altro, per cui le origini canavesane furono sempre una parte insostituibile di identità.
L’invecchiamento generale della popolazione è compensato dalla presenza di molte coppie immigrate dall’Europa dell’Est ma le parrocchie sono attente anche ai numerosi maghrebini, «ospiti» degli oratori. Molto apprezzato e seguito, da immigrati e italiani, il servizio di doposcuola organizzato in varie parrocchie da insegnanti in pensione. Con i cinesi, invece, si sono tentati vari approcci, a Cuorgnè soprattutto, dove qualche anno fa si cercò celebrare «insieme» il Capodanno cinese. Ma i risultati non sono granché: forse perché la distanza culturale è davvero ancora troppo elevata
E anche il servizio della carità non conosce confini, poiché le difficoltà economiche (e culturali, e sociali) coinvolgono ormai allo stesso modo italiani e stranieri, vecchi residenti e «ultimi arrivati». L’ascolto e l’assistenza sono presenti in modo capillare sul territorio, e le parrocchie continuano ad essere un punto di riferimento obbligato, anche perché si cerca di lavorare in rete con i servizi sociali pubblici (che conoscono stagioni difficilissime per quanto riguarda le risorse disponibili). La presenza delle comunità religiose è sempre stata qualificata e significativa: dal Cottolengo di Cuorgnè ai francescani di Belmonte, alle altre esperienze presenti, documentate nella scheda che pubblichiamo in queste stesse pagine. E negli anni recenti anche le cooperative di servizio sociale hanno aperto strade nuove di solidarietà.
La Chiesa è in prima linea anche nelle questioni sociali. Durante la Visita mons. Nosiglia incontrerà imprenditori e lavoratori. Qui anzi, dove la base del lavoro è industriale, quando si è perso il posto in fabbrica si è perso quasi tutto. La crisi dello stampaggio e delle altre lavorazioni metalmeccaniche si trascina, però, da tempi più lontani dell’attuale crisi globale. Già a partire dagli anni ’80 qui si iniziò a «ristrutturare» presenze industriali che bisognava adeguare alle nuove tecnologie e ai nuovi mercati. Ma da allora sono cresciute poco le «vocazioni» alternative all’industria: e oggi questa intera area patisce forse più di altre la penuria di opportunità o di creatività imprenditoriale, commerciale o di «terziario avanzato». Basta un dato per fotografare questa sensazione: a Rivarolo, che fa parte dell’«altro» Canavese, i prezzi delle case sono doppi rispetto a quelli di Cuorgnè. Un indicatore, magari molto empirico e parziale, ma comunque significativo delle difficoltà di un territorio.
La spirale casa-lavoro-sviluppo continua, per ora, a declinarsi più sul versante delle difficoltà che su quello delle promesse e del cambiamento.
E però non mancano segnali che fanno bene sperare per un futuro possibile da costruire. La commissione giovani delle due Unità pastorali sta lavorando da tempo su iniziative comuni di formazione che coinvolgono non solo la preparazione religiosa ma la «vocazione» nel senso più ampio: la vocazione, appunto, a scoprire e realizzare un significato all’esistenza. Il «cuore ardente» («cor ignitus») che sta nello stemma di Cuorgnè è una provocazione che vale anche oggi.
Marco BONATTI
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 5 maggio 2013