Il «virus della verità» – come qualcuno ha definito il Coronavirus – ha interrotto le consuetudini della catechesi parrocchiale e porta alla luce i pieni e i vuoti, le potenzialità e i limiti.
Nulla potrà essere più come prima, neppure le nostre proposte pastorali e catechistiche. Ma ad una condizione e cioè che uscire dalla fase 1 del Coronavirus non significhi solo riprendere da dove eravamo rimasti ma ricominciare con uno sguardo diverso, rinnovato. Questa condizione è una scelta da presupporre e da condividere.
In qualche modo il virus ha funzionato come un catalizzatore offrendoci un anticipo del «futuro vicino» (Thomas Halík) con cui la chiesa e quindi anche la catechesi, dovranno fare i conti. Che cosa resterà delle forme catechistiche cui eravamo abituati e a cui con passione ci dedicavamo? Nemmeno i numeri, con molta probabilità, saranno gli stessi. E se fosse l’occasione per una presa di coscienza condivisa, per una reale conversione delle pratiche pastorali e catechistiche, anziché per un programma a breve termine?
La vita di questo tempo non si è interrotta: neppure quella di fede. È avvenuta diversamente e in luoghi altri, diversi dalla parrocchia. Che cosa come comunità cristiana possiamo imparare anche da questo periodo? Quale legittimità siamo disposti a riconoscere ad altre modalità di vivere la fede, ad altri contesti in cui si è iniziati ad essa? E quali strumenti ci diamo per riconoscerli?
Nel mezzo di una situazione ancora in evoluzione abbozziamo un indice provvisorio di attenzioni con cui la ripartenza della catechesi – non solo dei bambini – avrà a che fare.
La cura delle relazioni nel segno della reciprocità,
Il Covid rimette al centro, non senza contraddizioni, le relazioni e il bisogno di vicinanza. Ci ha fatto riscoprire che siamo tutti impastati della stessa carne. La ripartenza della catechesi implicherà un modo nuovo nel modo di relazionarsi con tutti: facendosi presenti in modo gratuito, senza proselitismo, solo perchè «si ha desiderio e nostalgia dell’altro» (C. Le Chevalier)
Il bisogno di raccontare, di essere ascoltati e di ascoltare: la sfida della interiorità.
Emerge, in questi giorni, il bisogno di raccontarsi e di racconti che offrano prospettive differenti. Oltre all’esigenza di essere ascoltati quello che qui è in gioco è una dinamica di ricerca di senso che incoraggia la catechesi a ripercorrere la strada narrativa (che rimette al centro l’importanza della Scrittura) e permette di ricollocare l’annuncio dentro le trame dell’esistenza.
I racconti della fede
Questo tempo riporta la catechesi al cuore del Vangelo, la invita a ricentrarsi sull’annuncio primo: il kerigma di un amore più forte della morte. Il duello tra la morte e la vita che il virus ha portato davanti ai nostri occhi è anche il cuore della nostra fede pasquale.
Si (ri)apre lo spazio per i racconti della fede che offrono il punto di vista evangelico e possono rivelarsi come interessanti cornici per interpretare la vita. Con un’attenzione che il riferimento al primo annuncio porta con sé: il richiamo all’essenzialità, di proposte libere e gratuite, semplici e significative.
Il futuro della catechesi passa per la capacità di stare insieme nel presente riconoscendo il nuovo che Dio continua a fare nascere, consapevoli che la chiesa che verrà non sarà anzitutto il frutto della nostra progettazione ma della capacità di lasciarsi interpellale e convertire da questo tempo che «sta seminando un cambiamento» (G. Costa) [1].
don Michele Roselli – direttore dell’Ufficio Catechistico
[1] G. Costa, Ricominciare, con un altro sguardo, in Aggiornamenti Sociali, 4/2020, 269-276. Qui 270.