Anteprima da «La Voce del Popolo» del 10 maggio 2015:
Pupi Avati sta progettando una serie di film televisivi ispirati ai Vangeli. Intende attualizzarli, calare il messaggio nella società moderna, «proporre i Vangeli – annuncia il celebre registra bolognese – come omaggio alla bellezza dell’uomo, a fronte di tanta cinematografia violenta e pessimista». La notizia è freschissima, comunicata per la prima volta attraverso questa intervista alla Voce del Popolo. «C’è il progetto, ci ha spiegato. Purtroppo sto faticando a trovare i produttori: fra poche settimane comincerò a girare il primo film in Calabria, ispirato alle nozze di Cana; per il seguito della serie si vedrà».
Abbiamo incontrato il regista Avati martedì 5 maggio all’Arsenale della Pace, dov’era ospite dell’Università del Dialogo. Accompagnati da Ernesto Olivero, suo amico, ci ha accolti nell’ufficio del fondatore del Sermig, tra icone orientali e statuette della Madonna. Lo sguardo è intenso e sornione. Il suo modo di parlare è quieto e preciso, ma alterna momenti in cui si accende di passione.
Maestro Avati, come immagina l’attualizzazione televisiva dei Vangeli?
Sto tentando di proporre una serie di film che riguardi i Vangeli. Non la semplice messa in scena dei passi evangelici, ma una loro attualizzazione. Come il Vangelo possa essere oggi un modello, una lezione di vita. Certo, si tratta di un modello di vita altissimo, impraticabile, ma anche una richiesta di bellezza assoluta. Perché volere bene al prossimo come a se stessi è una delle richieste più assurde che si possano avanzare. Pensare che gli ultimi sono beati perché saranno i primi è straordinario: una visione così rovesciata ma così straordinaria, piena di amore per il prossimo.
Cosa vedremo nel film sulle nozze di Cana?
Il primo film, prodotto per la televisione, avrà per titolo «Le nozze di Laura», ispirato alle Nozze di Cana. Lo giriamo fra pochi mesi, sarà pronto entro fine 2015. Alle nozze di Cana Gesù compie il primo miracolo della sua vita, sollecitato da sua madre. Io ambienterò il film fra i braccianti che raccolgono gli agrumi in Calabria: braccianti subsahariani, ragazzi che arrivano dall’Africa più razziata, penalizzata. Uno di questi ragazzi si innamora della figlia del padrone dell’agrumeto: una storia difficilissima… Questo film vorrebbe essere il primo di una serie. Un’operazione simile a quella che fece Kieslowsky con dieci film del «Decalogo». Mi auguro che mi mettano nelle condizioni di poter realizzare questa serie di film. Partiamo con le Nozze di Cana, ma purtroppo non abbiamo ancora la certezza di poter produrre i film successivi.
Che cosa pensa di queste difficoltà?
È una cosa che mi preoccupa perché, secondo me, riprendere il messaggio dei Vangeli e trasportarli nell’oggi è importante anche per chi non è credente. È significativo anche a livello sociale. Fa un po’ specie che il progetto tardi ad essere sostenuto e mandato avanti. Con tutta la produzione di polizieschi, drammi familiari, storie di famiglie disfatte, una serie di film positivi dovrebbe essere sostenuta. Il Vangelo ti fa vedere l’altro nella sua luce migliore, nella sua bellezza. Avere difficoltà oggi a produrre film di questo genere in un Paese che sta al centro della cristianità è un po’ inquietante… Peraltro l’autore dovrebbe essere apprezzato: Gesù Cristo…
La bellezza della persona umana, soprattutto della persona fragile, è uno dei temi ricorrenti dei suoi film…
La bellezza delle relazioni umane, della qualità dell’essere umano, della famiglia, certo. Ma anche la bellezza dei sogni dell’essere umano; anche la bellezza della persona che non ce la fa e aspetta continuamente, dentro di sé, di essere risarcito. L’essere umano continuamente spera di riscattarsi, poi magari non ci riesce. L’importante è dargli voce, dare voce a questa sua bellezza. Io questo essere umano inadeguato, che si porta appresso un senso perenne di inadeguatezza, lo trovo a me molto vicino.
«La bellezza salverà il mondo», scriveva Dostoevkij. Questa bellezza lei la vede dentro alle persone.
Sì certo, ma non solo della bellezza esteriore. Ci sono vari gradi di bellezza: Belen è certamente bella, la Cappella Sistina è bellissima. La bellezza dell’essere umano si coglie soprattutto nella sua fragilità. È, per esempio, la bellezza del disabile… Io ho scritto la storia di una ragazzino down, che è di una bellezza incommensurabile, uno degli esseri umani più belli che io conosca. Certo bisogna andare a cogliere l’interno della persona, non solo l’esterno. Non potete immaginare quanto i genitori di questo bambino siano riconoscenti di avere un bambino down: questa è la bellezza che intendo io. Tutto può essere apprezzato come bellezza: il gesto di chi ti recita un poesia, il tempo che condividi con gli altri, anche solo in un vagone ferroviario. È bellissimo stare con gli altri. Però bisogna essere educati a mettere in campo la propria sensibilità e soprattutto la propria vulnerabilità. Perché la vulnerabilità che ti fa percepire l’altro, non la forza.
Quest’anno anche il Salone del Libro, che si apre fra pochi giorni, celebra la bellezza. Precisamente la bellezza dell’Italia, dei beni culturali e naturali. Approva il tema?
Era ora che si puntasse su questo. L’Italia ha un ministero intitolato ai Beni Culturali e al Turismo, ma fino a prima del ministro Franceschini era percepito come una sorta di punizione: non ti danno i ministeri importanti, però di danno il ministero dei Beni Culturali… Sembra di capire che adesso finalmente si riconosca un’opportunità nei beni culturali, nelle migliaia di situazioni interessanti sul piano della bellezza: sono un’opportunità turistica, di seduttività dell’Italia. Il nostro Paese deve tornare a essere seducente. Se questo è il progetto, è assolutamente sensato. Puntare sulla meraviglia dei nostri beni culturali: non abbiamo altro.
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 10 maggio 2015
In allegato .pdf della pagina con l’intervista.