Conferenza stampa dell’Arcivescovo per il Santo Natale

Martedì 23 dicembre 2014 in Arcivescovado

Di seguito il testo dell’Intervento dell’Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla conferenza stampa di Natale in Arcivescovado martedì 23 dicembre 2014.
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Cari amici,
è il mio quinto Natale  a Torino. Ed è per me motivo di grande gioia, perché questa festa è fonte di speranza per tutti, avendo al centro quel Bambino divino che viene annunciato dagli angeli come Salvatore. E credo che tutti, oggi, sentiamo il bisogno di essere salvati, sia sul piano spirituale che sociale, vista la situazione difficile e complessa che stiamo attraversando nella nostra città e territorio. Di fronte a ciò, mi sento di dire che questo Natale si colloca nel punto più basso raggiunto in questi cinque anni sul piano delle difficoltà per il lavoro, la casa e la povertà diffusa che incontrano tantissime famiglie, persone, imprese, realtà sociali e industriali. Ai poveri “tradizionali” si è aggiunta e si aggiunge una parte vasta del ceto medio che appena alcuni anni fa era protagonista dell’impegno nell’aiuto ai più poveri, mentre oggi ne ha invece a sua volta bisogno.
Non lasciamoci illudere dalle apparenze del centro storico, dove pure un semplice passaggio notturno farebbe scoprire ben altra città rispetto a quella chiassosa e “allegra” dei pomeriggi festivi e delle sue serate. La nostra gente è abituata a soffrire e a non sbandierare le proprie difficoltà, ma di fatto chi – come la Chiesa – è attivamente partecipe del tessuto concreto e quotidiano delle persone sa cogliere bene e sa farsi carico delle crescenti sofferenze di tante persone e famiglie.
Parlo di povertà ma c’è una parte della città che dalla crisi ha tratto anche qualche vantaggio, se è vero che a Torino in questi ultimi anni sono aumentati i depositi bancari, per cui il principio, che i soldi si fanno con i soldi e dunque con l’accumulo e il possesso, mantiene la sua innata forza di convincimento a scapito di investimenti produttivi, ma anche più rischiosi, sul lavoro e le imprese. Questo però non giova al bene comune ma solo al bene individuale di chi possiede tali capitali e possibilità.
È il punto più basso di questi cinque anni dunque, ma è anche quello più alto di impegno capillare e continuo da parte di tante forze vive della città e del territorio. Quel che, circa questo aspetto, appare e a volte qua e là viene documentato anche dai giornali, non è che la punta di una ben più estesa azione di giustizia e solidarietà che un diffuso volontariato, sia religioso che laico, sta garantendo nella città e territorio della diocesi in molti ambiti di servizio e di impegno concreto, per affrontare le povertà crescenti e le difficoltà di famiglie e imprese.
Posso affermare dunque con verità che in questi ultimi anni questa rete solidale si è fatta sempre più fitta ed è andata sempre più estendendosi in quantità e in qualità. Spesso è sottotraccia – come si dice – ma attiva e quotidianamente presente. E ci sono anche due novità rilevanti da segnalare: stanno in particolare crescendo molto le richieste di sostegno da parte delle famiglie, più che dalle singole persone. Occorre dunque trovare risposte appropriate per le famiglie (sul piano della casa, del lavoro e di altre esigenze primarie), che spesso sono anche portatrici di culture e tradizioni differenti. L’altro aspetto rilevante, poi, è che viene richiesto sempre più un accompagnamento spirituale e psicologico, fatto di relazioni e non solo di beni, pagamenti o servizi pure necessari.
Credo comunque che questo Natale possa portarci una spinta a guardare al domani con più coraggio e fiducia. Non è certo un evento, anche se di grande portata spirituale, umana e sociale, che riesce a far questo in modo immediato; ma esso può però dare fiato a tutto quel sistema di bene che non si quantifica nei bilanci familiari o sociali, ma ha un enorme potenziale di progresso e di speranza operativa per il futuro.
 
Il problema di fondo e decisivo da cui dipende la possibilità di affrontare serenamente tutti gli altri resta il lavoro, per cui occorre un supplemento di impegno fatto di scelte concrete e condivise, ma anche coraggiose e determinate, da parte del sistema-lavoro del nostro territorio; lavoro industriale che faccia leva sulla imprese – e non sono poche – che si sono aperte in questi anni ai mercati esteri e possono dunque garantire ricerca e occupazione. Purtroppo, è in corso una progressiva vendita o uno spostamento all’estero del baricentro di alcune eccellenze del mondo industriale che hanno dato lavoro e benessere al nostro Paese e al nostro territorio. Tali scelte, oltre a produrre un impoverimento dell’occupazione e ad accentuare la ripresa ormai ampia dell’emigrazione di tanti ricercatori e professionisti di valore, danno l’idea di un Paese non più affidabile e quindi avviato a un progressivo e ineluttabile declino. Sono problemi che richiedono un forte senso di responsabilità da parte della politica, anzitutto, e dell’intero mondo produttivo, che non può assistere impotente e rassegnato a tale situazione senza tentare vie alternative ed efficaci misure per affrontarla.
C’è poi un’altra questione di fondo su cui siamo oggi invitati a riflettere per agire di conseguenza: si tratta del grande tema della solidarietà tra chi lavora e chi non ha più un lavoro o l’ha saltuario e privo di garanzie per il domani; tra chi gode di un certo reddito – o comunque possiede beni che gli garantiscono un futuro sereno – e chi ne è privo e lotta ogni giorno per la sua stessa sopravvivenza o ha una vita di stenti e di sofferenza, di solitudine e abbandono. Occorre che nessuno si senta estraneo a questi problemi che assillano oggi tante persone e famiglie: la stretta unione e collaborazione tra tutte le componenti della “città” è condizione fondamentale per raggiungere insieme il risultato di garantire ad ogni persona i diritti fondamentali per un’esistenza dignitosa e il riconoscimento del suo essere soggetto attivo e protagonista della vita cittadina, superando quella condizione di scarto o di emarginazione sociale di cui tanti, soprattutto molti giovani, soffrono. «L’Amore più grande» che è il motto di quest’anno pastorale si attua nella responsabilità verso tutti: «Chi ama Dio non può riservare il denaro, la salute, la casa, il lavoro, la sua stessa vita solo per se stesso: li deve distribuire in modo divino secondo giustizia e carità» (San Massimo il Confessore).
 
Agorà sociale
E qui appare l’importanza dell’Agorà sociale, che abbiamo attivato proprio per puntare a un impegno comune, a un “fare rete” – come si dice – per coinvolgere tutte le componenti ecclesiali, istituzionali e del volontariato sociale a partire da uno stretto raccordo tra i tre settori su cui bisogna puntare per la ripresa sia morale che economica e sociale: formazione, lavoro e welfare.
L’Agorà ha fatto e farà scuola al riguardo e deve dunque essere ripresa con forza e portata avanti con progetti comuni concreti e mirati a singoli ambiti decisi insieme. Invieremo in questi giorni gli Atti dell’Assemblea a tutti i partecipanti e a fine gennaio partirà la cabina di regia per decidere l’ambito specifico di intervento su cui attivare concrete vie di soluzione. Intanto, accanto ai centri di ascolto per famiglie e lavoratori in difficoltà e per i poveri, partirà anche il Centro di ascolto per imprenditori in difficoltà: per sostenere chi si trova ad affrontare una situazione della sua azienda in gravissima difficoltà, dando fiducia e speranza, ma anche accompagnando a individuare vie e modalità concrete per affrontare – se ce ne sono le condizioni – un percorso atto a risolvere il problema, con l’apporto di valenti professionisti dei vari settori del mondo industriale, commerciale, artigianale, agricolo e dei servizi… che operano nell’ambito delle imprese con l’appoggio di un pool di sostegno effettivo di realtà e organismi coinvolti. Il Centro comunque rimarrà una realtà riservata.
 
“C’è un posto anche per te”
Scopo della proposta è quello di promuovere un salto di qualità importante nella mentalità e nelle modalità di offrire segni concreti di solidarietà verso chi – a Natale in particolare – soffre situazioni di difficoltà, di solitudine e di abbandono. Perché un salto di qualità? Perché altro è dare un po’ di soldi o di beni materiali a chi è povero e soffre, altro è condividere con uno di loro (singolo o famiglia) uno dei momenti dell’anno più belli sul piano delle relazioni tra le persone. Natale infatti è la festa forse più sentita e attesa, in cui si compie a volte il miracolo dell’incontro fraterno e ricco di affetto e di calore amicale tra parenti e amici. Aprire la propria casa e condividere il pasto in questa occasione è dunque un gesto non facile da attuare, ma che può innestare una conoscenza e relazione meno superficiale – o per interposta persona o gruppo – con chi è povero, solo e in difficoltà, per lo più estraneo alla famiglia. È attuare dal vivo la parabola del buon samaritano che, pur avendo i suoi affari da sbrigare, si ferma, perde tempo con lui e accoglie il povero che trova per strada, rendendolo partecipe di gesti concreti d’amore e d’impegno.
C’è sempre chi ovviamente storce il naso e dice: «Ma a che serve fare un gesto che si chiude in quell’occasione e poi, durante tutto l’anno, non si fa più?». Mi pare che siano obiezioni pretestuose, perché vale più un momento di relazione vera e disinteressata tra le persone che qualsiasi altro valore e il fatto di iniziare comunque a uscire da stessi per aprire la casa, il cuore, la vita, agli altri innesta un fattore di cambiamento nel proprio agire che avrà certamente conseguenze positive anche in seguito. Dio – ci dice Gesù nel vangelo (cfr. Mt 25,34ss.) – scrive in grande e apre orizzonti di beni impensabili anche solo per un bicchiere d’acqua fresca dato a chi ha sete.
Molteplici sono state le adesioni a questo invito da parte di semplici famiglie o persone, che non possiamo tuttavia quantificare, perché hanno scelto di invitare a pranzo qualche povero direttamente o mediante le parrocchie o comunità religiose o associazioni… Le richieste pervenute alla Caritas sono state convogliate alle rispettive parrocchie dei richiedenti, perché l’invito possa essere accompagnato dalla continuità del rapporto.
 
Altre brevi considerazioni
Quest’anno, tante sono le parrocchie che hanno aperto le loro strutture al servizio per l’alloggio notturno. Segnalo lo stesso stabile dell’ex Seminario metropolitano, che ha iniziato a dare accoglienza a una ventina di persone senza dimora.
Diverse sono le comunità e associazioni che offrono il pranzo di Natale ai poveri (io stesso ospiterò una trentina di persone). Sono stato partecipe del servizio di alcune di queste realtà sia per la colazione che per il pranzo o la cena…
Lo scorso anno, gli amici de “La Sosta” mi avevano chiesto la mensa serale: ne sono state attivate alcune e altre sono in via di attuazione.
Ieri sera ho partecipato con gioia al concerto al Regio per i poveri. Ringrazio il Sovrintendente, l’orchestra, il coro e tutti i lavoratori della disponibilità del Regio per questo dono natalizio, che si inserisce in un programma di offerte gratuite rivolte ai poveri durante la stagione del Regio stesso. Esse intendono richiamare il valore della cultura per tutti e non solo per chi se la può permettere, quale dono di libertà e di promozione umana e sociale per ogni cittadino, compresi i più poveri e in difficoltà. Indicano anche un altro aspetto importante che vale per tutti: si può sempre dare gioia e aiuto al prossimo partendo da quello che uno è capace di fare, rendendo gli altri partecipi del proprio mestiere e risorse.
Ho visitato “Casa Nonno Mario 2”, per padri separati: è la seconda, aperta per le tantissime richieste.
Oggi, presso uno stabile di via Traves, incontro insieme famiglie italiane e Rom: si tratta di un progetto pilota che intende non solo dare una casa, ma avviare un percorso di responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, perché sappiano via via poi mantenerla con un lavoro appropriato, così come dare anche una scuola per i minori e un’integrazione nel vicinato rispettosa delle regole di convivenza. Ho incontrato altre esperienze del genere, in cui famiglie di nazionalità, religione e cultura diverse, insieme a studenti universitari e singole persone povere, condividono insieme la stessa casa, addirittura a volte lo stesso appartamento con la cucina in comune…
Vi racconto un’esperienza che mi ha sorpreso. Sono stato in un campo Rom e ho incontrato un rifugiato africano che puliva il campo. Mi ha detto che ogni giorno va lì e fa piccoli lavori di manutenzione, ricevendone un modestissimo compenso insieme al pasto. È un ingegnere ed era molto contento di quello che faceva. Mi ha colpito, perché ho visto la solidarietà da parte di una persona che vive condizioni assai precarie e che però aiuta altri che stanno peggio di lui.
Domani sarò al carcere delle Vallette e al pomeriggio prima a “La Sosta” con i senza fissa dimora e poi presso le suore di San Giuseppe in via Giolitti, per una festa insieme con queste persone e altri poveri. Ringrazio la comunità delle religiose per la loro disponibilità.
A tutto ciò si aggiungono diversi incontri con delegazioni di lavoratori in cassa integrazione o in mobilità e le loro famiglie; visite e incontri con maestranze di aziende sia industriali che agricole; visite a ospedali, case di accoglienza per anziani autosufficienti e non; un incontro con la bella realtà comunale del servizio alle persone disabili delle comunità degli immigrati; la visita a reparti ospedalieri per assistere bambini e minori in difficoltà.
Tutto questo mi ha convinto ancora di più della enorme ricchezza di bene che c’è in mezzo a noi, ma anche della necessità di promuovere nel welfare una fase nuova che sappia andare oltre l’assistenzialismo e l’emergenza e dare alla gente risposte più appropriate sul piano dell’accompagnamento, promuovendo, insieme agli interessati, percorsi di inclusione sociale che garantiscano il superamento della loro situazione di difficoltà reciproche mediante  l’apporto di  una rete di sostegno in cui emerga il tema decisivo del lavoro, della casa, della formazione e riqualificazione, se necessario: un’educazione alla condivisione e a  stili di vita nuovi e meno autoreferenziali, una formazione e orientamento al lavoro, un welfare di comunità in cui gli stessi soggetti destinatari diventino attivi protagonisti, insieme agli altri soggetti coinvolti.
 
Alcune rapide informazioni per l’anno 2015
La mia Lettera di Natale alle famiglie è sull’educazione, per richiamare la grande opera educativa e formativa di Don Bosco. Cito solo questo passaggio: «La crisi dell’educazione oggi non sta nell’indifferenza dei ragazzi e giovani o nel rifiuto di essi a mettersi in dialogo e confronto con gli adulti ed educatori, ma sta proprio nel mondo adulto, spesso privo di figure significative e autorevoli, non coerente tra ciò che insegna o chiede e ciò che fa con la propria vita ed esempio, carente sul piano dei valori di riferimento per il proprio agire, di una testimonianza sicura da indicare ai giovani e di ideali alti per impegnare la vita. […] Occorre dunque dare fiducia ai giovani, stimolandoli a mettere in atto tutte le risorse positive che hanno in se stessi. E questo esige un cambiamento di mentalità e di strategia educativa, che faccia superare all’adulto educatore la sua collocazione dentro un ruolo prestabilito, mettendosi umilmente in ascolto di ogni giovane o ragazzo; a curare rapporti schietti e sinceri, anche se esigono grandi spazi e tempo di disponibilità; a offrire proposte vere, anche impegnative, e non mascherate da seconde intenzioni».
Ostensione della Sindone – I volontari sono 4.500: un record. A questi si aggiungano gli oltre 200 del servizio per malati e disabili e poi ancora la protezione civile, la Croce rossa, gli alpini… Credo che arriveremo a circa 5.000 volontari. Il 53,9 per cento sono donne e il 46,1 sono uomini. Il 40 per cento hanno già partecipato ad altre ostensioni, vista anche la vicinanza al 2010. Quasi il 90 per cento viene dalle parrocchie di appartenenza; c’è poi chi proviene dalle diocesi piemontesi e italiane e anche qualche straniero. A gennaio inizieranno i corsi di formazione dedicati a conoscere meglio la Sindone in tutti gli aspetti del volontariato per l’ostensione.
È in corso anche la campagna per suscitare adesioni al volontariato dei giovani in occasione della visita di Papa Francesco: stanno arrivando numerose e termineranno alla fine di gennaio.
Visita del Papa Il programma sarà concordato con la Prefettura della Casa pontificia in un prossimo incontro a Torino. La piazza Vittorio è stata designata quale sede centrale degli eventi e in particolare della Santa Messa.
Il Santo Padre pregherà davanti alla Sindone e incontrerà i malati e disabili nella Piazza antistante. Visiterà Valdocco, dove potrebbe esserci l’incontro con gli animatori degli oratori. Poi, avrà un incontro specifico con i giovani e ragazzi o nella stessa Piazza Vittorio o in altro luogo da stabilire. Restano da definire il luogo del pranzo ed eventuali altri brevi incontri possibili, tenuto conto dei tempi e degli spostamenti.
 
Conclusione
Questi grandi eventi, che caratterizzeranno la vita della città nei prossimi mesi, possono essere affrontati se tutti facciamo la nostra parte con responsabilità e con la prospettiva di andare oltre l’occasionalità, cogliendoli come volani per far ripartire un cammino comunitario fra i cittadini, basato sulla fraternità, il fare rete e la concordia negli obiettivi da raggiungere. Mi auguro che la venuta di Papa Francesco possa rivolgere al mondo della formazione, del lavoro e del welfare il messaggio di speranza del Santo Padre, ma anche le sue preziose indicazioni di marcia su cui camminare insieme.
 

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