Non parlo più volentieri dei social e del rapporto fede-web. Ancora meno dell’uso che ne faccio personalmente. Anni fa lo facevo, anche di frequente. Ero un convinto sostenitore delle potenzialità del web e in particolar modo dei social network. Ne usavo e ne abusavo. Diffi cile dal primo non passare al secondo, almeno per qualche periodo. I social funzionano così, per condurti all’uso eccessivo e per convincerti della loro indiscutibile necessità e insostituibile funzione. Ho cominciato con Twitter e Facebook. Più il primo del secondo. Erano gli inizi di Twitter e del suo boom in Italia, una decina di anni fa.
C’è voluto poco a farsi prendere. La gente si stupiva di veder un prete che twittava, peraltro senza impegnarsi troppo a fare ‘propaganda’, ma sembrando un utente qualsiasi. Qualche collaborazione con alcuni confratelli anche loro catturati dai social e guadagnare visibilità fu questione di pochissime settimane. A quel punto il gioco è fatto. Conosci gente, vieni invitato a eventi, ti contattano le redazioni, ti chiamano le trasmissioni, qualche casa editrice.
Bello, davvero. Mille contatti, esperienze, incontri. Bello, convince. Tenevo anche un blog e il blog cresceva, numeri buoni. Sembrava va la strada giusta, i risultati parlavano. Ma la macchina per viaggiare ha bisogno di benzina, manutenzione, bollo e assicurazione. Tempo, risorse, energie, attenzioni.
Le sottrai ad altro, ad altri. Le ragioni ci sono: crei contatti, in un modo o nell’altro parli del Vangelo, conosci il mondo e capisci di più le persone, hai la possibilità di raggiungere chi mai potresti dal piccolo mondo parrocchiale. I social non sono gratis, hanno un prezzo e sanno come convincerti che vale la pena pagarlo. Ti trattano come utente, ma sei invece l’utilizzato. Poi c’è l’ego. Ah, l’ego. Che distorce le percezioni e tende i suoi tranelli cognitivi. Cominci a pensare cose di te che non esistono ma che sono decisive per motivarti a non mollare. «Posso dire cose importanti… Ci sono persone che si affidano alle mie parole… Non posso sprecare un talento evidente». Ah l’ego.
Poi a un certo punto non c’ho creduto più. Non so neanche bene perché. Forse non avevo semplicemente più tempo. Forse mi ero stancato. Forse le motivazioni erano diventate solo giustificazioni. Oggi penso solo che non ne valga granché la pena. Per carità, è vero che ci sono delle opportunità, che si riescono a creare delle reti virtuose, che possono essere una frontiera importante anche per l’evangelizzazione. Però. Però mi sono convinto che il gioco non vale la candela. Oggi li uso in modo molto limitato. Leggo i post altrui, e pure poco. Non commento quasi mai. Cerco materiale utile. Posto contenuti meno di una volta al giorno, ormai solo su Facebook, quasi sempre di un certo impegno – quindi molto poco “social” – rilanciando principalmente quel che scrivo sul blog che continuo a tenere o che produco per incontri dal vivo. Non so se sia giusto, ma a me pare vada bene così.
Don Cristiano MAURI, blogger
(da «La Voce E il Tempo» del 13 giugno 2021)