Suono, canto e scrivo musica da quando avevo circa dodici anni, e non mi sarei mai aspettato che un giorno mi dicessero: in pubblico, è vietato. Non poter più fare musica dal vivo: inconcepibile, fino a due anni fa. È stato un vero, piccolo dramma, anche se in mezzo ad altre tragedie ben più gravi. Chi suona dal vivo e ama farlo è rimasto spiazzato, interdetto, ha patito l’astinenza e ha dovuto inventarsi altre ‘cose’: i video, i balconi, le registrazioni. Perfino i Rolling Stones, con il loro video a distanza della mitica «You Can’t Always Get What You Want», hanno cercato di ribellarsi al virus maledetto. Bel tentativo: ma il palco è un’altra storia, perché è e resta una storia piena di fascino.
Si dice «chi vive di musica»… e si spalanca un mondo. In quella galassia ci sono le grandi stelle, che pur avendo dovuto rinunciare non hanno avuto grandi difficoltà; e poi una miriade di gruppi, gruppuscoli, band e ‘bandine’ non troppo note che però suona, canta, prova e organizza concerti, arrangia, e in un modo o nell’altro, della musica ci campa. Ciò che accomuna queste due categorie è il cosiddetto indotto. Il cantante o la band che vediamo sul palco è solo una piccola percentuale di chi rende possibile il concerto e lavora ‘dietro’ a quel concerto, di qualunque livello sia. Fonici, tecnico audio, tecnico luci, trasportatori, elettricisti e falegnami, fi no ad arrivare agli hotel e ai ristoranti.
Senza preavviso, tutto ciò si è come paralizzato, cristallizzato, messo in pause da un giorno all’altro.Che botta! Migliaia e migliaia di lavoratori fermi, senza nessuna tutela, nel panico. Il musicista almeno ha potuto suonare a casa, registrare, produrre comunque musica: ma è stato un palliativo, nulla a che vedere con la normale attività di un artista. Per tutti quanti, doppio danno, economico e psicologico… Chiedere a un cavallo di non correre vuole dire ucciderlo due volte. Ripartire, seppur in modo graduale, significherà finalmente rivedersi: fare le prove, unire di nuovo le creatività, stare insieme, usare gli occhi per capirsi al volo o litigare, prestare di nuovo la dovuta attenzione a tutti quei dettagli che danno forma a questo lavoro e generano quell’ora e mezza di concerto. Non recupereremo solo la musica, ma tutto ciò che le orbita magicamente intorno, ed è tantissimo.
Speriamo che tornino a riempirsi, insieme ai locali, anche le nostre anime e i nostri cuori e che tutti gli operatori dello spettacolo, con l’energia preziosa del loro lavoro, restituiscano alla musica il senso che ha. Naturalmente, i concerti non ‘li fanno’ solo i musicisti e tutti i professionisti coinvolti. Li fa anche il pubblico. Anche qui ci sarà da ripartire, e non sarà automatico: si tratterà di superare una buona dose di ansia, se non paura, di pigrizia casalinga, di nuove abitudini passive davanti allo schermo del pc. Insomma: per dirla con il verso di una canzone, «tocca a noi uscire, lasciare la poltrona».
Marco NIELOUD – musicista, autore, cantante (da «La Voce E il Tempo» del 27 giugno 2021)