«La potenza del cinema sta in ciò, che esso parla mediante immagini. Esse, con grande godimento e senza fatica, sono mostrate ai sensi anche di animi rozzi e primitivi, che non avrebbero la capacità o almeno la volontà di compiere lo sforzo dell’astrazione e della deduzione che accompagna il ragionamento». Nel 1936 Papa Pio XI pubblica Vigilanti cura, lettera enciclica dedicata al cinema. Il documento del Papa si inserisce nelle tracce di una costante attenzione che la Chiesa ha avuto per il cinema fin dai suoi esordi, ben intuendo le sue potenzialità formative e catechetiche delle sue immagini, insieme al pericolo insito in un’arte che parla alle persone «con grande godimento e senza fatica» per di più in un contesto, quello della sala buia, dove si può generare una sorta di sospensione e di indebolimento delle consuete capacità di attenzione, riflessione e vigilanza. Di qui la preoccupazione per quella che viene definita «tanta strage di anime di giovani e di fanciulli» e la necessità di «lavorare perché il cinema non sia più scuola di corruzione» ma «strumento di educazione ed elevazione dell’umanità».
Da qui anche la conseguente necessità che «il popolo conosca chiaramente quali film sono leciti per tutti e quali leciti con riserve, quali sono dannosi o positivamente cattivi»: Pio XI propone, allora, un elenco dei film classificati. La Commissione nazionale valutazione film mantiene come prima tra le sue finalità il compito di esprimere «una valutazione e classificazione dei film sotto il profilo morale e a fini pastorali» e tali valutazioni «sono vincolanti per la programmazione delle Sale dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica».
Poste queste premesse, la Commissione specifica i termini di riferimento del linguaggio usato nelle valutazioni: «Un’espressione sintetica del giudizio formulata attraverso due parole: la prima parola esprime la valutazione globale del film; la seconda parola indica la facilità o difficoltà di lettura del film, oppure specifica la motivazione della valutazione globale». Un film può essere «raccomandabile/complesso» oppure «complesso/problematico» o, ancora, «consigliabile/semplice» e così via.
La domanda è se oggi un simile criterio di valutazione dei film risponda nel modo migliore alle esigenze di un ascolto serio e aperto del mondo, di un aiuto alla comprensione del film e alla sua visione ai diversi pubblici a cui le indicazioni si rivolgono, o non corra il rischio di restare imprigionato negli ambiti troppo ristretti di una visione strumentale dell’opera cinematografica, vista come quasi esclusivo veicolo di formazione e di edificazione morale. Oppure, se il criterio contenutistico (e quindi, il grado di moralità delle azioni e dei linguaggi dei personaggi) non privilegi troppo la «storia» tralasciando altri aspetti formali ed espressivi importantissimi nel determinare la qualità di un’opera.
Parlando il 7 dicembre 2019 ai rappresentanti di Acec-Sdc (Associazione cattolica esercenti cinema- Sale della comunità), Papa Francesco – dopo aver ricordato come il cinema sia stato importante nella sua formazione («tutto il cinema del dopoguerra è una scuola di umanesimo. Voi italiani avete fatto questo, con i vostri grandi, non dimenticatevi di questo») – ha incoraggiato a «dare spazio alla creatività, immaginando e costruendo nuovi percorsi». In questi «nuovi percorsi» potrebbero entrare altri criteri di valutazione dell’opera cinematografica, dall’ascolto delle emozioni alla qualità di una visione che impara a lasciar parlare un’opera senza chiuderla troppo in fretta in una griglia di riferimenti esclusivamente morali.
«La visione di un’opera cinematografica – ha proseguito il Pontefice – può aprire diversi spiragli nell’animo umano. Il tutto dipende dalla carica emotiva che viene data alla visione. Ci possono essere l’evasione, l’emozione, la risata, la rabbia, la paura, l’interesse… Tutto è connesso all’intenzionalità posta nella visione, che non è semplice esercizio oculare, ma qualcosa di più. È lo sguardo posto sulla realtà. Lo sguardo, infatti, rivela l’orientamento più diversificato dell’interiorità, perché capace di vedere le cose e di vedere dentro le cose. Lo sguardo provoca anche le coscienze a un attento esame. Lasciamoci interrogare: come è il nostro sguardo? È uno sguardo attento e vicino, non addormentato? È uno sguardo d’insieme e di unità? […] è uno sguardo che suscita emozioni?».
Guido BERTAGNA su «La Voce E il Tempo» del 3 ottobre 2021