Che noia, però. Le estati passano, e se scorriamo le colonne sonore che ci restano nella memoria, vediamo che la parte del leone la fanno, e di gran lunga, le canzoni sentimentali. Magari non ci saranno più le rime baciate cuore/amore e gli struggimenti degli anni sessanta, ma sempre d’amor si canta. «Ti voglio cullare cullare, posandoti su un’onda del mare del mare, legandoti a un granello di sabbia», gigioneggiava nel ‘61 Nico Fidenco. L’anno dopo Edoardo Vianello sincopava che «mentre tutta la gente è assopita sulla sabbia bruciata dal sol ci scambiamo nell’acqua salata un dolcissimo bacio d’amor».
Il sale si confermava elemento erotico determinante, col suo sapore galeotto cantato da Gino Paoli. Dopodiché, in una galoppante cavalcata attraverso i decenni, da Ti amo a Gloria, dai Righeira con la loro playa agli ombrelloni-oni-oni di Giuni Russo, passando per la dance, il reggae, il reggaeton e il rap/trap, sono cambiati linguaggi, ritmi e melodie, ma il tema dominante sempre quello è restato. Amore. Un termine che non conosce usura, non passa di moda, non teme appannamenti e supera indenne epoche e generazioni. Lo fa tuttavia, con qualche evidente specificazione aggiuntiva, qualche aspetto maggiormente messo in luce, qualche differenza di accento a variarne il panorama. L’estate, per dire, è sempre stata il tempo degli amori, più che dell’Amore, legati alla vacanza, al fuori contesto, alla fuga dalla routine invernale e cittadina. Anche in questo, nulla è cambiato, se non una maggior chiarezza del racconto e una più esplicita narrazione: è così che si arriva, ad esempio, alla dichiarazione programmatica di Sesso e Samba di quest’anno.
A proposito di questa ultima stagione, vale la pena segnalare un caso in cui salta fuori una definizione particolare per parlar di storie di cuore. Alessandra Amoruso e Big Mama cantano infatti di un Amore “mezzo rotto”. Bell’attributo, rotto: così quotidiano e prosaico. Giusto all’opposto delle iperboli liriche che solitamente si riservano al sentimento principe. Multiplo, anche, nei suoi significati, o almeno nelle sue implicazioni. Una cosa rotta non funziona. Ma non è detto: può anche funzionare zoppiconi, un po’ sì, un po’ no. In modo imperfetto e irregolare. La roba rotta può essere gettata, ma la si può anche riparare. Può tornare a posto come prima, tornarci con vistose riparazioni grossolane, tornarci con qualche pezzo in meno e qualche acciaccatura irrimediabile, ma non tale da impedirne la funzione. Tutti abbiamo in casa qualche oggetto chiaramente frantumato e riassemblato, attraversato dalle sue vistose crepe e rappezzato in modo visibilissimo. Ricordano, questi oggetti, i nostri visi invecchiati, che inalberano non senza fierezza rughe impensabili un tempo; i nostri corpi che il tempo modifica e modella e plasma secondo geometrie, dimensioni, prospettive nuove che anni prima sarebbero state inimmaginabili.
A ben vedere, i nostri sono tutti Amori mezzi rotti. L’Amore, di cui noi siamo capaci, non lo è sempre, onestamente? Pensiamo all’amore cristiano, che ci viene proposto nel Vangelo. «Non c’è Amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». Meraviglioso. Entusiasmante. Vero. Cristiano (nel senso di “proprio del Cristo”). Ma se cerchiamo traccia, di questo amore, in coloro che da Gesù stesso sono stati uno per uno scelti, formati e mandati, ahi ahi ahi! La musica cambia. Salta fuori tutto l’armamentario di grettezze, egoismi, brame possessive, invidie, calcoli, recriminazioni, piccinerie. Peggio: infedeltà, abbandoni, rinnegamenti. Fino al tradimento. Persino la roccia, Pietro, quello tutto cuore oltre l’ostacolo e dichiarazioni ardenti, se ne va in mille pezzi e si sgretola sotto le accuse di una donna che rischia di smascherarlo, quel suo amore. «Io non lo conosco!», e quel grido ripetuto parossisticamente spacca la sua amicizia, la sua scelta di vita e la sua stessa fede. Ci vorrà tutta la colla paziente e guaritrice del Rabbi risorto a rimettere in piedi i pezzi di quell’amore frantumato e rispedirlo in giro, con le sue cicatrici ben visibili e da quel momento mai più nascoste.
Com’è quella vecchia storia, del rompere e pagare? Chi rompe paga, e i cocci sono suoi. Bene. Menomale. Che restino a noi, i cocci. Conservarli, tenerli preziosi, sempre e comunque, quei cocci. E andare di cocciutaggine, di pazienza certosina e di fiducia nel Libretto di istruzioni, a tentare la riparazione e il restauro.
In fin dei conti, tutte le opere d’arte, comprese le più mirabolanti, sono state restaurate.
Lorenzo Cuffini – collaboratore della Pastorale della Cultura
Alessandra Amoruso- Big Mama, Mezzo rotto: https://www.youtube.com/watch?v=8B_mUnsUqGA