Da insegnante di Nuovo Testamento dovrei rallegrarmi quando uno studente si dice entusiasta di imparare il greco per riuscire a leggere i testi originali. E invece nella mia testa non posso fare a meno di domandarmi che cosa si intende quando si parla di «originali». Per quanto possa apparire strano, gli studiosi di critica testuale hanno opinioni diverse sul suo significato.
Per alcuni l’originale del Vangelo di Luca sarebbe la copia uscita direttamente dal suo calamo (sempre ammesso che l’evangelista non abbia prodotto più edizioni del suo lavoro). Per altri è la copia più antica che si riesce a ricostruire tramite i manoscritti a disposizione. Per altri è la versione che era in uso in un tempo in cui il numero di esemplari è sufficiente a garantire una certa stabilità al testo (ad esempio nel III secolo).
Diverse generazioni di critici testuali sono cresciute con l’ossessione di dover recuperare a tutti i costi questo fantomatico archetipo da cui sarebbero scaturite tutte le copie successive. Immaginavano una sorta di albero genealogico con tutte le loro diramazioni e le famiglie collaterali.
Col tempo ci si è resi conto che questo schema era semplicistico e che la realtà della trasmissione dei testi è ben più complessa. Ma soprattutto si è rimesso in discussione un sistema in cui tutto il materiale esistente viene vivisezionato nella prospettiva di ricostruire un ipotetico ideale, l’unico degno di essere considerato. Davvero i manoscritti, specie quelli più tardivi, sono solo una riserva di materiale da cui trarre indicazioni per nobilitare il loro antenato?
Nelle arti figurative la questione del valore dell’originalità si risolve piuttosto in fretta. Se un Tiziano è autentico vale un patrimonio. Se è una copia viene stimato pochi euro. Ma nel mondo dei manoscritti le cose vanno diversamente. Noi non possediamo più alcun esemplare autografo di nessuno scritto del Nuovo Testamento. Quando va bene, si tratta di copie prodotte qualche secolo dopo l’edizione originale, se parliamo di testi integrali. Dobbiamo quindi rassegnarci all’idea che le parole degli evangelisti (per quelle di Gesù il discorso sarebbe ancora più complicato) siano ormai irrimediabilmente irraggiungibili per noi?
Prima di cedere al pessimismo, dovremmo valutare il grado di approssimazione con cui sono state tramandate. Se è vero che alcune varianti possono essere state introdotte per interessi teologici dagli scribi, la maggior parte rientra nei comuni errori in cui può incappare chiunque trascriva manualmente un testo e sono facilmente individuabili ed emendabili. La cura con cui i credenti hanno trasmesso i testi evangelici è in linea generale encomiabile e dovremmo essere riconoscenti a chi si è sobbarcato questo lavoro estenuante perché generazioni di cristiani potessero avere tra le mani un testo che certamente non è «originale», ma è comunque affidabile e adatto per lo scopo per cui viene utilizzato, cioè offrire una riflessione onesta sui detti e i fatti della vita di Gesù.
Gian Luca CARREGA
(da «La Voce E il Tempo» del 14 novembre 2021)