Francesca Sartorio (una lunga esperienza lavorativa nel sociale, oggi al Politecnico di Torino) ha raccontato per noi l’esperienza vissuta con il marito nel quartiere Aurora, dove si è trasferita nel luglio del 2020. Ne pubblichiamo un estratto, mentre l’articolo completo uscirà sulla pagina Facebook della PastCulTo.
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Io non mi voglio arrendere a uno stato di cose inamovibile, e pensare che ci siano zone della città dove è solo meglio tenersi alla larga. Siamo entrati a far parte di un Comitato, perché ci sono meravigliose realtà di volontariato cui però non si possono demandare decisioni più globali. Altrimenti rimane la lotta di Davide contro Golia. Credo nelle istituzioni come valore che incarnano. Vacillo rispetto all’esistenza di una volontà di effettivo cambiamento in questa parte della città perché i fatti, dopo mesi di attesa, depongono in senso contrario. La strada di informare, segnalare e attivarsi per essere proattivi non si è ancora dimostrata quella risolutiva.
Domando: si vuole lasciare una zona franca della città, dove alcuni soggetti non possono essere toccati? C’è una scelta politica nel lasciare un ghetto ove qualunque atto si considera lecito, e dove si possono sfogare alcune condotte? Esiste una lobby immobiliare nel non voler investire appositamente in una data area? In ogni mia proposta scritta sottolineo come sia necessario, insieme ad interventi delle istituzioni, la presenza di mediatori interculturali che aiutino a diffondere una cultura ambientale e di convivenza civile, al fine di una vera integrazione che, altrimenti, resta una parola vuota di significato, e che invece è fatta del concreto della vita quotidiana: l’uso delle cose pubbliche, la gestione dei rifiuti, le regole del vivere insieme.
È importante che chi arriva da altri Paesi, oltre ai giusti diritti, condivida anche i doveri cui tutti noi siamo chiamati. Una delusione è giunta da molti contatti che ho sollecitato a dare una mano, persone che hanno studiato i fenomeni migratori, che politicamente parlano di accoglienza e che, di fronte ad un’opportunità concreta di affrontare questioni critiche di convivenza mista, mi hanno detto di lasciar perdere. Dalle loro case in quartieri sicuri e monitorati si proclamano a favore dell’integrazione, ma poi vogliono vedere certe realtà solo da lontano…
Io penso che solo mescolandosi davvero sia possibile ridare dignità a questo quartiere e ai suoi abitanti, anche alle frange più vulnerabili. Spesso ho avuto paura, esporsi individualmente è pericoloso e abbiamo dovuto fare passi indietro per prevenire dispetti e ritorsioni. Non cederò mai alla rassegnazione, all’odio, al pensare che ‘loro’ sono così, che bisogna scappare, vivere solo tra persone della stessa provenienza geografica.
Volevo un contesto multiculturale in cui forse, un giorno, crescere un figlio che arriverà da chissà dove, perché è questa la direzione del mondo; ma non se realizzato a slogan, a fazioni, a opinioni contrapposte di soggetti che poi non si calano in questa realtà, non ci abitano, non ci escono la sera, non la percorrono coi mezzi pubblici. Resto convinta che il principio per cui ad ogni azione consegue una reazione valga per ogni essere umano, e che questa sia l’unica strada per plasmare i propri e gli altrui comportamenti.
Francesca SARTORIO su «La Voce E il Tempo» del 16 gennaio 2022