Il governo irlandese ha recentemente dato il via alla prova per aiuti economici agli artisti. Duemila tra musicisti, cantanti, scrittori, attori, maghi, circensi, solo per citare alcune categorie, riceveranno circa 300 euro settimanali a condizione di svolgere la loro attività artistica come lavoro principale. Una scommessa che si inserisce in un contesto dove la musica tradizionale, ad esempio, è considerata fondamentale nell’educazione scolastica e civica, che fa comprendere quanto sia considerato lavoro produrre arte e quanto possa positivamente influire sull’economia nazionale. Ben lontano dalle nostre recenti polemiche che contrappongono chi suona e il duro lavoro di chi deve governare il Paese, ma questo sentimento è purtroppo ampiamente diffuso.
Fare arte, e farla bene, è fatica, costanza, impegno, studio, sperimentazione, fallimento, successo, realizzazione, condivisione, inclusione, e tutto quanto ruota attorno a qualunque attività umana. Potrebbe funzionare nel nostro Paese un esperimento simile? Occorrerebbero, innanzitutto, un profondo senso di che cosa sia la cultura e maturità nel considerare l’arte e il suo oggetto, pensieri che mi paiono poco frequentati dai nostri esponenti politici, se non in termini di utilità finalizzata al consenso e similmente poco frequentati anche dai fruitori di arte che spesso si limitano al semplice consumo.
In un contesto sociale dove tutto deve servire a qualcosa, deve essere utile per qualcosa, dove la cultura e la formazione devono essere finalizzati per produrre qualcosa, risulta difficile comprendere il senso dell’apparente inutile. A che cosa serve una canzone, una poesia, un quadro, un esercizio di giocoleria, una scultura, un film, un libro… a cosa serve pensare? Per funzionare occorrerebbe un cambiamento radicale e profondo.
Certo molti sono anche i rischi che si correrebbero. Non sono certo pochi gli ‘artisti’ che hanno cavalcato e cavalcano mode, pensieri di regime, ideologie, stili, strade sicure che portavano e portano denaro e sicurezza, ma sono anche molti coloro che non si sono inchinati alla sicurezza e al futuro certo e comodo e che, in giro per il mondo, si giocano la vita … e la perdono!
Il rischio più grande potrebbe essere quello di accontentarci di un reddito minimo, e diventare dei piccoli lavoratori obbedienti che vivono nei loro spazi controllati e controllabili, che producono il divertimento necessario e funzionale al vivere sociale, quel tanto di rivolta, di indignazione, di contro-cultura, come andava di moda dire un tempo non molto remoto, di senso civico. Sulla possibile sostenibilità economica non ho esperienza e competenza per esprimere un parere. Mi limito a constatare e ripetere ciò che altri hanno già più volte espresso: «Quante orchestre giovanili, quante produzioni nuove, quante mostre, quanti film si potrebbero finanziare con il denaro di una sola serata del Festival di Sanremo?».
L’arte, quella vera, per nostra fortuna, ha comunque una forza dirompente, capace alla fine di imporsi, se soltanto pensiamo alla storia di Pierpaolo Pasolini. Concludo con una citazione di De André, «dal letame nascono i fiori», ma noi non siamo più abituati al letame dell’esistere, lo rimuoviamo e lo gettiamo. Non vorrei svegliarmi in un mondo pulitissimo ma senza fiori!
Enzo VACCA, musicista celtico su «La Voce E il Tempo» del 4 giugno 2023