«Non ho voglia di niente». In tempo di vacanza, per quelli che la possono fare, l’espressione casca bene. Non diciamo “il dolce far niente” per indicare un periodo di libertà totale da impegni, che ci consenta di spaziare dal meritato riposo all’ozio assoluto? Sdraiati su un lettino in spiaggia, penzolanti su una amaca al fresco di un giardino, o banalmente abbandonati sul divano di casa, guardiamo per tutto l’anno a questa frasetta con indulgente comprensione e malcelato desiderio.
Poi, si sa. Il bello sta tutto nell’attesa, e al momento buono, ci si può trovar spiazzati. Delusi. Annoiati. Perché il rovescio della medaglia del perfetto ristoro, sta nel fatto che non è facile mettere in stand by pure il pensiero e la mente. I quali, malauguratamente, continuano a funzionare: e lo fanno pure in modo autonomo, se non capriccioso. Pulci fastidiose si risvegliano nell’orecchio, ideuzze perniciose spuntano fuori chissà da dove, preoccupazioni rialzano la testa, paure si insinuano subdolamente, ricordi riprendono vita e spessore. Tutta una attività interiore che non pare volerne sapere di farsi spegnere a comando. Per quanto imperiosamente le intimiamo “A cuccia!”, quella imperterrita si srotola per i fatti suoi.
Non c’è nulla di male, apparentemente, nel “non aver voglia di niente”. Però, guarda guarda: non si tratta di «inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa»? Ma questa è la definizione dell’accidia, che, nientemeno, ci insegnavano essere uno dei sette vizi capitali. Quella che scatena, nella Scrittura, uno dei versetti meno comodi e corretti al nostro orecchio: «Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca».
Papa Bergoglio in una udienza generale ha ricordato uno scritto del monaco Evagrio che descrive il comportamento dell’accidioso: «… Quando legge, l’accidioso sbadiglia spesso ed è facilmente vinto dal sonno, si stropiccia gli occhi, si sfrega le mani e, ritirando gli occhi dal libro, fissa il muro; poi di nuovo rivolgendoli al libro, legge ancora un po’ (…); infine, chinata la testa, vi pone sotto il libro, si addormenta di un sonno leggero…». Concludendo: «Così ci si lascia andare e la distrazione, il non pensare, appaiono come le uniche vie d’uscita».
Ora: Francesco fa il Papa, e dunque tratta l’argomento da par suo. Consiglio e rimedio che ci indica? «La pazienza della fede: coraggio di rimanere e di accogliere nel mio “qui e ora”, nella mia situazione così com’è, la presenza di Dio».
Ma qui si vola più basso e ci si limita a consigli di cabotaggio minore. Uno è proprio quello che ci suggeriscono Colapesce Dimartino: «Metti un po’ di musica leggera». Non esiste canzone, per quanto bollata come canzonetta, tormentone, che non abbia la capacità di dirti qualche cosa. Di aprirti all’ascolto di qualcosa d’altro. Di strapparti dalla palude dell’inerzia mentale.
Certo non è detto che ci porti la presenza di Dio. Ma sarà comunque un buon ancoraggio al “qui e ora”, al mondo intorno, agli altri. «Tutto il resto è noia», come scandiva Califano. (E comunque, se lo canti, diventa subito moooolto meno noioso).
Lorenzo Cuffini – collaboratore della Pastorale della Cultura
«Musica leggerissima» di Colapesce e Dimartino: https://www.youtube.com/watch?v=Q7NjUxGMv7Y