Non è per niente facile affrontare il tema della maternità e ancora più difficile per me, donna consacrata, che non sono una madre biologica. E sarebbe troppo semplicistico e irrealistico affrontare riflessioni sulla «maternità spirituale» senza tenere conto della complessità del tema. Dunque, provo a mettere in luce alcune suggestioni e a porre alcune domande. Mi fa da sfondo l’episodio evangelico, narrato dall’evangelista Matteo (20,17-28), della madre dei figli di Zebedeo che chiede a Gesù: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». La domanda di questa donna svela alcune delle dinamiche emotive che si attivano quando si desidera «la gloria» per il proprio figlio o per una persona a cui si vuole bene.
Proprio questo evento entra nel cuore di quella lotta che c’è in ogni essere umano, per la realizzazione propria, che riguarda il concetto di gloria. Lo spessore di una persona è agli occhi di Dio: essere figlio è la Sua gloria. Solo quando siamo in questa grandezza, cioè nell’amore infinito di Dio per noi, esistiamo pienamente come persone libere. Al contrario, siamo schiavi di questa ricerca di riconoscimento e se non lo troviamo là dove c’è, lo mendichiamo dove non c’è, insaziabilmente.
Nella richiesta di quella madre c’è la passione viscerale che spera il massimo per il proprio figlio, ma c’è anche la proiezione della propria ricerca di riconoscimento, la sostituzione alla libertà dell’altro e la manipolazione per ottenere benefici personali. L’accompagnamento di qualsiasi persona nella sua crescita umana e spirituale ha come scopo principale far sì che «splenda» nella sua dignità di uomo e di donna ad immagine e somiglianza di Dio e nella sua missione di rendere sempre più umano il mondo abitato. Ma se questa è l’alta finalità di qualsiasi accompagnamento, si aprono alcune questioni interessanti.
La prima considerazione è che la «maternità spirituale» si colloca in una relazione generativa tra persone adulte o, tutt’al più, tra una persona adulta e una persona giovane, in crescita nella sua libertà. Giovanni e Giacomo sono due figli adulti: hanno scelto di seguire Gesù, mettono in gioco la loro libertà ogni giorno scontrandosi con i propri infantilismi e limiti e costruiscono il loro futuro nella relazione con quel maestro di Nazareth. Perché quella madre si mette in mezzo, riportando i figli ad una relazione infantile?
Il secondo elemento è che la «maternità spirituale» non può essere compresa fino in fondo se non si affronta l’aspetto biologico del partorire. Sorgono allora due domande serie: è appropriato parlare di «maternità spirituale» quando si parla di accompagnamento alla sequela del Cristo di persone adulte? È appropriato trasferire la maternità dal piano biologico al piano spirituale?
Suor Simona CORRADO su «La Voce E il Tempo» dell’8 maggio 2022