Un concetto preciso ci è stato inculcato sin da piccoli: l’uomo è evoluto, rispetto a tutti gli altri mammiferi, perché ha gli arti superiori liberi dal dover sostenere il peso del corpo e camminare. Gambe e piedi come fratelli negletti rispetto ai ‘superiori’: braccia e mani. Di conseguenza, il camminare è un’attività cui si è sempre cercato di ovviare, dall’invenzione della ruota fi no ai monopattini elettrici. Homo faber in contrapposizione a homo ambulans. Perché allora stanno fiorendo mille cammini in tutto il mondo e milioni di persone percorrono chilometri a piedi su sentieri e strade? Spirito di emulazione, ricerca di salute fisica, turismo low-cost, voglia di competizione, riescono a spiegare solo in parte il fenomeno. In tutte le grandi confessioni religiose è ben presente l’atto del camminare.
Nei secoli il pellegrino, per fede, ricerca, obbligo devozionale oppure espiazione, si recava presso una meta venerabile con il mezzo più frequentemente a disposizione: le gambe. Probabilmente accorgendosi solo al termine, come succede a chi ha riscoperto recentemente sacre vie, come quella per Santiago di Compostela, che il fine del viaggio non è l’arrivo, ma il viaggio stesso. È il lento approssimarsi, il desiderio, la tensione verso la meta che la sacralizzano, la rendono tale.
Un po’ come capita all’alpinista che conquista una vetta al termine di una faticosa scalata, condividendone la vista con un turista trasportato da una funivia. Siate pur certi che da lassù non proveranno i medesimi sentimenti. Evidentemente, qualcosa succede nell’animo di chi cammina. I passi, che si susseguono ritmici gli uni agli altri, pian piano trasformano i sensi o, forse meglio, li destano. Ti accorgi della consistenza della terra calpestata, ascolti misteriosi suoni provenire da lontano, il tuo sguardo ha il tempo per soffermarsi a contemplare una coccinella che si arrampica su uno stelo d’erba, la brezza trasporta odori sepolti dentro di te. Comprendi che quello è il ritmo giusto, quello per cui la nostra mente e i nostri sensi sono fatti. E ti emozioni, come non pensavi più possibile. Ti apri alla meraviglia e allo stupore, indietro nel tempo. Se non ritornerete come bambini…
Il cammino diviene maestro di vita. Impari a non inciampare e a orientarti, a fidarti e ad avere bisogno degli altri, a sbagliare e ritrovare la strada, a comprendere i tuoi limiti e le tue potenzialità. Impari a essere moderato, ti rendi conto di ciò che realmente serve, divieni prudente. Essenzialità. Camminando, ti immergi in un’altra dimensione. Un passo dopo l’altro, riscopri te stesso, i tuoi bisogni più veri, i tuoi aneliti più profondi. Il cammino diviene scoperta, incontro, accettazione, anche delle fragilità e miserie che permeano il tuo essere. Scriveva Neruda: «Un giorno, da qualche parte, in qualche luogo, immancabilmente, troverai te stesso, e quella, e solo quella, può essere l’ora più felice o più amara della tua vita». Il camminare ti spoglia, ti rende povero, fragile. Il cammino diviene deserto e silenzio. Ti svuota. Ma solo un otre vuoto può essere riempito.
Gianni AMERIO, fondatore del percorso Altra Via, su «La VoceEilTempo» del 19 settembre 2021