«Na casarella, pittata in rosa». Letteralmente: una casettina, tutta dipinta di rosa. Un poco lezioso? Certamente. A maggior ragione se il verso è cantato, e sulle note di una melodia napoletana classica, classicissima, con la voce perfetta e la chitarra complice di Roberto Murolo.
Questa volta, per la canzone d’estate, siamo finiti a Napoli: non quella rigurgitante di nuove tendenze, rielaborazioni e successi in serie degli ultimi anni. Nemmeno quella neomelodica. Ma la Napoli classica, quella della grande tradizione canora e dei capolavori senza tempo.
Questo brano non è tra i più celebri. “Tarantelluccia”, si chiama. Personalmente, non lo avevo mai sentito. Ora mi è diventato domestico, e mi serve per raccontare una storia particolare.
Metti una persona che invecchia: supera gli ottanta, gli ottantacinque, i novanta, i novantacinque. Passa i novantasei e i novantasette. Metti che questa persona, sempre presente a se stessa, incontri tuttavia una serie crescente di limitazioni quotidiane. Pesantissime tra tutte, non solo quelle di deambulazione e di movimento, ma alcune che si riverberano direttamente sulla possibilità di relazione con chi le sta intorno. L’udito che si assottiglia sino quasi a scomparire. La parola che si fa difficoltosa. La scrittura che si fa incerta e faticosa. I libri, sempre prediletti e divorati, che diventano di difficile lettura, causa la vista che si è ridotta al lumicino. La televisione che perde di attrattiva, risultando fragorosa e rimbombante, o del tutto inudibile. Il telefono complesso da utilizzare.
Tutta una serie di porte che si chiudono, di linee che debbono essere tirate a cancellare possibilità, di cose che si fanno infattibili. In questa situazione complicata, un canale di comunicazione resta integro e vitale: la musica. Non “musica” in generale. Pur essendo la persona di cui si parla appassionata di musica classica e per molti anni abbonata alla stagione concertistica. Nemmeno la musica leggera in senso lato: quando si imbatte in qualche trasmissione canora (da Sanremo in giù) l’interesse mostrato è ridottissimo. La fonte privilegiata – e rimasta sorprendentemente intatta a zampillare – è quella della canzone napoletana tradizionale. Tra tutte, questa canzone: Tarantelluccia.
La proposta del suo ascolto (e di un gruppetto di altri brani selezionati nel tempo) è sempre accolta con un piccolo entusiasmo, e suscita un moto di buon umore e un’attenzione partecipe. Sono canzoni in dialetto napoletano, e la persona, che pure è di nascita e famiglia partenopea, il dialetto non lo ha mai minimamente parlato e sospetto che non lo comprenda neppure benissimo… ma quello delle canzoni, evidentemente ben note, ascoltate verosimilmente mille volte, probabilmente nell’infanzia, non solo deve risultarle familiare, ma ben assimilato, parte di un vissuto. Infatti, a sorpresa, qualche parola, il ritornello, vengono attesi, riconosciuti, pronunciati a voce alta, canticchiati. Sul volto, durante l’ascolto, passa una intera gamma di emozioni: rapidi sorrisi, lampi di allegria autentica, momenti di raccoglimento con gli occhi chiusi, espressioni di intenerimento e commozione. E, tra un sentimento e l’altro, uno sguardo, a cercare i presenti: sguardo che vorrebbe certamente raccontare tutte queste cose insieme. Non può farlo, d’accordo: ma ne esprime il desiderio e riesce a farlo molto bene, tanto che chi ascolta con lei ha l’impressione di “sentire” le sue stesse sensazioni, pur senza sapere a che cosa rimandino di preciso.
Si parla molto di musicoterapia, e sono stati scritti tomi e metodi sul suo utilizzo in varie situazioni di disagio e di fragilità. Chi non è un tecnico, si fida e ne prende atto. Ma non serve essere un esperto, per cogliere la potenza di una canzone, pur remota, distante negli anni, nei moduli, nel linguaggio, che riesce ad aprire con insospettata facilità una gabbia comunicativa che in tutti quanti gli altri modi, resta quasi impenetrabile.
«Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Quando saremo noi, a tendere le mani, ad essere presi e portati dove noi non avremmo voluto andare, auguriamoci e preghiamo fin d’ora di avere qualcuno che ci lasci almeno una canzone. Sarà benedetta, se riuscirà a regalarci ancora un momento tutto e solo nostro, ancora un palpito di noi stessi: personalissimo, privato, pura vita vissuta e sognata e ricordata.
Lorenzo Cuffini – collaboratore della Pastorale della Cultura
Roberto Murolo, Tarantelluccia: https://www.youtube.com/watch?v=10CPGAZd1-0