Prima di concedersi la sosta estiva, lo Spigolo vi saluta con un argomento vacanziero: il modello Sassuolo è applicabile al calcio italiano? Per chi non mastica molto di pallone, ricordo che il Sassuolo è la squadra dell’omonima cittadina modenese approdato in serie A nel 2013 e da allora stabilmente nel massimo campionato, con un exploit nel 2015-16, un sesto posto finale che valse l’accesso all’Europa League. Lo schema adottato dalla società è stato pressappoco lo stesso: piazzare i calciatori migliori presso i grandi club e reinvestire le somme in giovani talenti (spesso italiani) da fare crescere e valorizzare.
In questi dieci anni la squadra si è tolta non poche soddisfazioni e grazie ad una seria programmazione sembra in grado di mantenere a lungo l’obiettivo primario, quello di non retrocedere. Per una cittadina che conta quarantamila abitanti non è poca cosa, tenuto conto che alcune piazze storiche del calcio italiano sono sparite o galleggiano a stento nei campionati minori. Il darwinismo esiste anche nel mondo del calcio e il Sassuolo ha dimostrato di avere un maggior spirito di adattamento allo sport moderno riuscendo ad evolversi in maniera più efficace rispetto ai dinosauri urbani che dovevano gestire maggiori pressioni da parte dei tifosi. E infatti si sono estinti. Certo, il ‘miracolo’ è stato possibile anche grazie ai preziosi investimenti del presidente Squinzi, amministratore della Mapei, ma i soldi da soli non bastano, come rivelano i numerosi fallimenti di questi ultimi anni.
Possiamo dire allora che la formula Sassuolo sia un modello raccomandabile per il calcio italiano? Andiamoci piano. Lo stadio in cui gioca è un impianto con più di ventimila posti, cioè potrebbe ospitare la metà della sua popolazione. Ed è chiaro che non succede. Anzi, per la maggior parte delle partite, i tifosi ospiti sono più numerosi dei supporter locali, per cui il Sassuolo gioca quasi sempre in trasferta… Nel caso del Sassuolo è difficile capire quanti dei presenti allo stadio siano tifosi e quanti spettatori. La cosa non è indifferente, perché lo spettatore viene a vedere uno spettacolo, specie se la squadra ospite è piena di grandi nomi, mentre il tifoso è una presenza fidelizzata che garantisce un supporto continuo, anche nelle stagioni più opache. Inoltre la politica di calciomercato intrapresa dal Sassuolo – e non solo, ma ormai da due terzi delle società – allarga ulteriormente il divario tra le ‘grandi sorelle’ (le 7-8 squadre che occupano regolarmente i primi posti) e il resto del campionato, da molti indicato giustamente come una serie A2.
La presenza del Sassuolo in una competizione a venti squadre può essere una simpatica anomalia, ma auspicare una presenza più massiccia di club virtuali che non hanno un effettivo seguito di pubblico non sembra una strada vantaggiosa per un campionato nazionale che fatica ormai ad essere al livello di altri Paesi come Inghilterra, Spagna e ormai anche Germania. Avere società che servono più come vivaio di altre squadre che non come realtà ambiziose non ci aiuta a crescere a livello internazionale e non giova neppure allo spettacolo.
Gian Luca CARREGA su «La Voce E il Tempo» del 31 luglio 2022