Quante volte questa settimana avete scritto con una penna e una matita? Sicuramente molte meno della mia nonna che prendeva la sua agenda ogni sera e scriveva con il suo Corsivo Inglese, raddrizzato e semplificato, i punteggi delle sue partite a carte e la lista della spesa.
Quell’attenzione alla scrittura è piacere di poter esprimersi attraverso una delle prassi più complesse che esistano. Qualcosa sta cambiando e l’Homunculus motorio e senso motorio con le mani giganti creato nel 1950 dal neurologo Wilder Penfield ha forse gli anni contati? La strana immagine ci racconta che quanto più un’area del corpo è densamente innervata maggiore è la sua rappresentazione a livello corticale: non passa inosservato il fatto che l’area delle mani è decisamente più grande rispetto alla somma delle aree dedicate al corpo dal collo in giù.
Nelle mani dell’uomo risiede l’intelligenza, ci dice Anassagora. Dalle mani noi conosciamo il mondo, lo accarezziamo e lo sorreggiamo, creando relazione e favorendo la comunicazione (noi italiani lo sappiamo bene); ma stiamo lasciando sempre più da parte la nostra «intelligenza manuale». L’impugnatura data dagli strumenti elettronici è completamente opposta a quella utilizzata per tenere lo strumento grafico e scrivere: supinazione vs pronazione; utilizzo dell’indice vs presa a pinza. La scrittura, oltre ad essere modo di comunicare, ci permette di rimetterci in connessione con noi stessi.
Ri-educare una scrittura o favorire l’apprendimento corretto del corsivo significa dapprima riscoprire il piacere di scrivere. Quando i bambini mi raccontano la loro storia di insuccessi, frustrazione e di noia rispetto alla scrittura, cerco di aiutarli a ritrovare la magia passata, restituendo una scrittura che li rappresenti e che sia espressione di sé. «Non scrivo in corsivo perché tanto scrivo male e non sono capace». Io aggiungo, non comunico in modo fluido con l’altro.
Da dove partiamo? Dal ritmo. Il ritmo interno che impregna ogni movimento e sviluppa armonia. Ritmi veloci creano «disgrafie impulsive» con scatti veloci, finali lanciate, difficoltà nell’organizzazione spaziale; ritmi troppo lenti creano «disgrafie di lentezza» con rigidità, scrittura lenta senza movimento, statica, numerosi tremolii, incertezze.
Noi siamo come scriviamo. Noi scriviamo come siamo. Noi siamo quando scriviamo. Quanto bianco e quanto nero abbiamo all’interno delle nostre scritture? Il bianco lo sentiamo come distanza, isolamento, pausa; mentre il nero è sicuramente il tangibile, il punto di riferimento dell’Io.
E come in ogni cosa è necessario trovare l’armonia. Gli aspetti funzionali e tecnici di rieducazione sono necessari per rendere la scrittura leggibile e più ordinata, ma questo avviene quando i ragazzi ritrovano equilibrio ed armonia.
L’ultima seduta di rieducazione è spesso, come la prima, un disegno ad arabeschi. Tre pastelli colorati ed un foglio bianco. Un viaggio in quel foglio bianco che diventa un territorio esistenziale che all’inizio è un sovrapporsi di linee, confuse e tremolanti o alle volte troppo pressate, ricche di interruzioni e saldature.
Al termine ricorda una melodia, in equilibrio tra ritmo e forma, che favorisce il rilassamento ed il respiro. Gli occhi dei ragazzi che riscoprono la scrittura mi ricordano come le cose, seppur antiche, siano contemporanee nelle emozioni.
Margherita BAUDUCCO, psicomotricista e rieducatrice del gesto grafico su «La Voce E il Tempo» del 31 ottobre 2021