Nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Papa Francesco sottolinea due aspetti significativi circa la Pastorale Giovanile, che tracciano anche l’orizzonte di fondo per la riflessione in atto, nella nostra diocesi, sulla «comunità educante». Scrive il Papa al n. 106: «anche se non sempre è facile accostare i giovani, si sono fatti progressi in due ambiti: la consapevolezza che tutta la comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un maggiore protagonismo. Si deve riconoscere che, nell’attuale contesto di crisi dell’impegno e dei legami comunitari, sono molti i giovani che offrono il loro aiuto solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza e di volontariato. Alcuni partecipano alla vita della Chiesa, danno vita a gruppi di servizio e a diverse iniziative missionarie nelle loro diocesi o in altri luoghi. Che bello che i giovani siano «viandanti della fede», felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!».
Rispetto ad alcuni decenni fa in cui si enfatizzava il ruolo di alcune figure specifiche dedicate ai giovani, occorre riscoprire la necessità della comunità per la generazione fede, nella quale ciascun battezzato è responsabile del compito educativo della Chiesa. Tale responsabilità nasce dalla più radicale chiamata all’evangelizzazione. Scrive ancora Papa Francesco in uno dei passaggi più decisivi di Evangelii Gaudium: «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo ‘discepoli’ e ‘missionari’, ma che siamo sempre ‘discepoli-missionari’. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: ‘Abbiamo incontrato il Messia’ (Gv 1,41)» (n. 120).
Dunque dire «comunità educante» significa innanzitutto sollecitare la corresponsabilità di tutta la comunità e, quindi, di ogni battezzato della comunità, in relazione al mandato del Signore circa l’evangelizzazione delle giovani generazioni.
Il secondo criterio di fondo riguarda il protagonismo dei giovani stessi, in tensione polare con il coinvolgimento di tutta la comunità.
Sottolineare il ruolo della «comunità educante» non significa, infatti, enfatizzarne l’opera a discapito del messa in gioco dei giovani stessi! Al contrario, essa deve operare perché i giovani possano diventare «protagonisti» non della Pastorale Giovanile, e neanche soltanto della comunità cristiana, ma della loro stessa vita. Il Papa infatti legge questo protagonismo nella prospettiva del «dono», cui è esattamente dedicato il terzo capitolo della Lettera Pastorale dell’Arcivescovo. Il secondo criterio per la «comunità educante», dopo quello della corresponsabilità di tutta la comunità, può dunque essere definito del «protagonismo» dei giovani, ma non deve essere frainteso. Esso è chiamato ad esprimere chiaramente quella «inversione di tendenza tra il ricevere e il dare» specifica dell’età della giovinezza. «Il giovane, che prima è stato sempre soggetto di ricezione e donazione, diventa adulto quando scopre che il principio che lo ha generato lo ha sostenuto e proprio quello della donazione: anche gli diventa adulto quando passa da soggetto primariamente accogliente a soggetto primariamente donante. Questo è esattamente il ‘senso della vita’ entro cui stabilizzarsi perduto il quale si perde la vita stessa, che così risulta radicalmente fallita nella sua intenzione fondamentale» (R. Sala, Pastorale Giovanile 1, pagg. 251-252).
Educare i giovani al «protagonismo» significa dunque educare al dono di sé, al dare la vita, vegliando sulla concezione tipicamente post-moderna di un individuo che è «protagonista» nella misura in cui è autonomo e indipendente in relazione al proprio benessere.
Con questi due criteri di fondo possa avanzare la nostra riflessione sulla «comunità educante», in vista della definizione di un progetto educativo diocesano.
L’équipe di Pastorale Giovanile