Anno della Parola: l’omelia

Che fare quando l’omelia è troppo lunga e ingombrante, col risultato di soffocare la Parola ascoltata?

È giusto che duri quanto la metà dell’intera celebrazione?

E quale deve essere il rapporto tra l’omelia e le altre parti della Messa?

 

Nell’anno della Parola, dedicheremo la rubrica dei prossimi numeri all’approfondimento di alcune questioni liturgiche riguardanti la Liturgia della Parola, su cui siamo sovente interpellati. Una delle domande più frequenti riguarda proprio la durata dell’omelia, in relazione alle altre parti della Messa. Ci sembra giusto affrontare la questione partendo da una considerazione generale sull’intera celebrazione eucaristica.

La Messa si struttura in diversi momenti tra loro collegati: riti di ingresso, liturgia della Parola, liturgia eucaristica, riti di conclusione. Queste diverse parti sono così legate le une alle altre da formare, come dice il Messale, un unico atto di culto (Ordinamento Generale del Messale Romano, n° 28).

La Messa, dunque, non va vissuta come un insieme di elementi tra loro isolati, ma ciascuna parte è strettamente legata all’altra. Attraverso i diversi momenti della celebrazione, infatti, siamo condotti dalla Liturgia a compiere un vero e proprio cammino che dall’ingresso ci conduce fino al cuore e al culmine della celebrazione: la liturgia Eucaristica. Questo è il motivo per cui le diverse parti della Messa non si svolgono tutte nello stesso luogo: i riti di ingresso si celebrano in relazione alla sede, la Liturgia della Parola si svolge all’ambone e, infine, la liturgia Eucaristica, all’altare.

Quando non si rispetta il giusto ritmo o la dinamica della celebrazione, tutta la Messa ne soffre e se ne smarrisce il senso. Questo accade anche quando i riti di ingresso sono troppo lunghi, con troppi canti (ingresso, kyrie, Gloria, ecc.) o quando, al contrario, sono troppo sbrigativi (senza nessuna pausa di silenzio o senza canti). Oppure, quando si gonfia eccessivamente la presentazione dei doni (offertorio) con troppi doni o lunghe didascalie, per poi trascurare l’importanza della Preghiera Eucaristica.

Tornando alla questione posta all’inizio, l’omelia trova la sua giusta durata nel quadro complessivo della celebrazione. La sua durata non dovrebbe mai superare quella dedicata alla proclamazione delle letture, né sacrificare i giusti tempi di silenzio previsti dal rito. I documenti liturgici e gli orientamenti magisteriali non danno nessuna indicazione precisa al riguardo, ma offrono delle considerazioni generali che ci possono essere di aiuto. Innanzitutto, l’omelia va considerata come parte integrante della Liturgia della Parola (Ordinamento Generale del Messale Romano, n° 65; Introduzione al lezionario, n° 24; Codice di Diritto Canonico, can. 767) e non come un momento isolato o, nel peggiore dei casi, centrale. La Parola di Dio infatti, proclamata e attualizzata, “corre” verso il suo compimento: la liturgia eucaristica (Introduzione al lezionario, n° 10).

L’omelia è strettamente legata alla Parola proclamata, quindi non deve essere generica o astratta: pur avendo un valore catechetico, non è il luogo della catechesi, né tanto meno il luogo di digressioni e avvisi inopportuni (cfr. Introduzione al Lezionario, n° 27; Sacramentum Caritatis, n° 46). Di volta in volta sarà il ritmo della celebrazione a sottolineare il rilievo da dare all’omelia: là dove, ad esempio, la celebrazione è più ricca di letture o di altri gesti (il caso tipico è la veglia pasquale), l’omelia sarà più sobria. Infine, l’omelia deve sempre prevedere un momento di silenzio, per favorire la meditazione e predisporre il cuore a partecipare con frutto alla liturgia eucaristica, centro e culmine dell’intera celebrazione.

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