La Conferenza Episcopale Italiana, nel corso dell’Assemblea generale straordinaria tenutasi dal 12 al 15 novembre 2018, ha approvato la nuova edizione italiana del Messale Romano. Essa richiedeva una nuova traduzione dopo l’ultima edizione latina del 2002, la terza dall’inizio della riforma liturgica. Tra le nuove traduzioni spicca quella del Padre nostro, che al posto di “Non ci indurre in tentazione” avrà “Non ci abbandonare alla tentazione”. Perché questa traduzione entri in vigore e possa essere pronunciata dai fedeli durante la preghiera liturgica, occorre attendere due passaggi importanti: il primo è l’approvazione della Congregazione vaticana per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, chiamata a confermare le scelte operate dalla CEI; il secondo è la pubblicazione del nuovo Messale, che se tutto va bene potrebbe uscire nell’Avvento del 2019, dunque non questo anno ma il prossimo. Per questi due motivi, la pazienza di aspettare è d’obbligo: non si cambia il Padre nostro prima che arrivi il nuovo Messale. Quando arriverà, lo faremo tutti insieme.
I più “zelanti” (o i più nervosi?) erano già caduti nella tentazione di cambiare subito il testo del Padre nostro, secondo la nuova traduzione CEI della Bibbia approvata nel 2008, già presente nei Lezionari della Messa. Ma cosa sarebbe accaduto se i vescovi nell’ultima versione avessero votato una traduzione differente? Non sono mancate infatti le discussioni su altre possibili proposte, ad esempio: “Fa’ che non cadiamo nella tentazione” (come nella versione spagnola e francese), oppure: “Non abbandonarci nella tentazione”, o ancora: “Nella tentazione, non abbandonarci”. Addirittura c’era chi riteneva che l’antico “Non ci indurre in tentazione” fosse ancora la traduzione migliore, più fedele all’originale greco, anche se indubbiamente esposto a fraintendimenti: come ha affermato papa Francesco, è Satana, e non Dio a indurre in tentazione.
L’espressione “Non abbandonarci alla tentazione”, in questo senso, non soddisfa ancora tutti, dal momento che può lasciare intendere che Dio possa e voglia fare una cosa simile: Dio non abbandona mai i suoi figli. Ma se ragionassimo così su tutte le preghiere, non pregheremmo più! Non chiederemmo più nulla: né che il “Signore sia con noi”, perché è sempre con noi; né che il Signore ci ascolti, perché Egli ci ascolta sempre; né che Egli venga nell’Eucaristia, perché Egli è già in mezzo a noi: nell’Eucaristia già presente nel tabernacolo, nei fratelli, nel povero. Nella supplica “Non abbandonarci”, noi chiediamo che ci stia a fianco sempre, quando siamo nella tentazione e quando stiamo per entrarvi.
Certamente non è una traduzione pienamente soddisfacente: difficile è il compito del traduttore, chiamato a traghettare il senso di un testo dalla cultura di partenza a quella di arrivo, rimanendo fedele all’origine e insieme favorendone il contatto vivente. I vescovi sanno bene quanto sia delicato “toccare” le parole della Bibbia e della liturgia: per questo ci hanno messo 10 anni a convergere in una traduzione condivisa del versetto biblico (2008), e altri dieci anni a convergere sulla sua accoglienza nella preghiera liturgica (2018). La liturgia non è una realtà nostra e chi cambia con fretta o disinvoltura, o presunzione di intelligenza teologica o pastorale, in realtà manca di rispetto verso la liturgia e fa violenza al popolo di Dio.
Articolo di don Paolo Tomatis, Direttore
Ufficio Liturgico Diocesano