Uno dei limiti maggiori è ancora quello della “Messa catechistica”, dove si ritiene che per favorire la partecipazione dei ragazzi e delle famiglie occorra inventare gesti strani, spesso puerili o eccessivi rispetto alla “nobile semplicità” del rito. Non esemplifichiamo per non dare cattivi esempi. Qualcuno si illude ancora che la partecipazione attiva consista nel “far fare qualcosa a tutti” i ragazzi. Così facendo, si appesantisce la liturgia, trasformandola facilmente in un’esibizione, dove non importa che tutti ascoltino ciò che si dice, ma che tutti intervengano. Quanto al coinvolgimento nella lettura delle preghiere e della parola di Dio, niente di male, se si comprende cosa si legge e si prega: purtroppo quasi sempre non è così. Altra superficialità mutuata da questo modello è la processione dei doni “simbolici” sbagliati, oppure giusti, ma portati al momento sbagliato: la Bibbia e – in alcuni casi – addirittura l’olio del crisma portati all’offertorio, anziché l’Evangeliario (e, volendo, il crisma) nella processione iniziale. Se proprio si vuole coinvolgere i ragazzi, perché non farli portare alcuni piccoli ceri con cui accompagnare i doni eucaristici?
Un aspetto delicato è quello relativo all’esigenza di creare un clima di preghiera e raccoglimento. Normalmente si occupa il parroco di questo, o con sgridate perentorie, che rovinano il clima, oppure attraverso il ricorso a continue monizioni. A volte si ha l’impressione che il disturbo non provenga tanto dall’assemblea, quanto dall’agitazione di chi la conduce e la anima. Interventi continui e inappropriati, ansiosi di spiegare, o di mantenere il clima di silenzio, non giovano a quell’atmosfera di fiducia e di calma nella quale, poco per volta, l’assemblea è invitata ad entrare. Meglio sarebbe incaricare una o più persone che, con garbo, svolgano quel “ministero dell’aula” che sta sulla soglia, vigilando sul buon ordine dell’assemblea. Meglio fidarsi dell’eloquenza dei gesti, là dove ovviamente sono svolti bene. Pensate al momento nel quale, dopo l’invocazione dello Spirito, ci si accinge a crismare i ragazzi: la monizione che dà suggerimenti tecnici (in fila per due…) oppure spiegazioni spirituali, è fuori posto. Basta un gesto per far sedere la gente e muovere i ragazzi. È sufficiente la breve monizione di chi presiede, per vivere in modo spirituali i gesti. Insomma: occorre bandire l’ansia, che agita e fa agitare, e far parlare il rito.
Un’ultima battuta è relativa al canto ed è riportata da un autorevole “crismatore”: “Mi sono sentito a casa nella preghiera della comunità, ma straniero nel canto!”. A quando la saggezza e l’equilibrio di passare dai canti “di qualcuno” ai canti “di tutti” (almeno quelli più importanti)?
Ci siamo soffermati sull’esigenza di una buona animazione liturgica. Altrettanto necessaria è una buona presidenza, di cui parleremo nella prossima rubrica.
Don Paolo Tomatis