La donna dell’attesa

La IV domenica di Avvento ha sempre un’intonazione mariana: siamo ormai nei giorni della novena, che precedono immediatamente la grande festa del Natale, e anche la liturgia è chiamata a sottolineare il senso dell’attesa e della trepidazione, della disponibilità e del silenzio accogliente. Non a caso il vangelo, che ritorna dopo il giorno dell’Immacolata, è quello di Maria che accoglie nella propria casa l’annuncio dell’angelo, e si rende disponibile alla volontà del Padre: generare il Figlio! 
Come esprimere nella liturgia questo senso di attesa e di trepidazione? Anzitutto custodendo il clima dell’intimità e dell’interiorità. Non è questo il giorno in cui lanciarsi in denuncie (tanto profetiche quanto scontate) sul natale dei consumi e delle luci di plastica; non è il tempo di tuonare con voce forte, come nelle domeniche del battista; è questo il tempo di rientrare nella casa dell’interiorità, come Maria e con Maria, per diventare anche noi una degna dimora del Figlio di Dio che viene nei nostri cuori. 
I gesti e gli atteggiamenti dell’accoglienza che fa spazio sono anzitutto quelli del silenzio che custodisce nel cuore i principali doni dell’Eucaristia (il perdono, prima dell’atto penitenziale, con un silenzio prolungato di supplica; la Parola, dopo l’omelia, con un silenzio di meditazione; l’Eucaristia, dopo la comunione, con un silenzio di gratitudine). Ma è tutto il ritmo della celebrazione che chiede di indugiare, di fermare il tempo, per liberarlo, per entrare dentro noi stessi e per sostare nella grazia del rito, che è quella di poter anche noi dire sì, come Maria. 
L’atteggiamento della disponibilità può trovare spazio nell’offertorio: non c’è bisogno di portare altre cose, per simboleggiare la disponibilità della nostra vita; è sufficiente il pane e il vino, perché in essi è la sintesi della natura e della cultura, del lavoro e della grazia, della quotidianità e della festa, del bisogno e del desiderio. Come rendere evidente questa offerta di noi stessi nell’offerta del pane e del vino? Per esempio, facendo accompagnare da fanciulli o giovani la processione dei doni con alcune candele o lumini (4, 8 o 10…), con una didascalia breve, poetica e dunque efficace: “Nel pane e nel vino, è il nostro eccomi; la nostra disponibilità a lasciarci trasformare, per generare Cristo nel mondo, come Maria”. 
Ciò che è avvenuto corporalmente in Maria, avviene sacramentalmente nella Chiesa e spiritualmente nel cuore e nella vita dei cristiani. Anche noi siamo invitati a riconoscere, ben prima del 25 dicembre, che Cristo è già presente in noi, e attende di essere generato, cioè reso visibile attraverso la nostra testimonianza. In questo clima di attesa, il simbolo della dimora, che percorre le letture bibliche della liturgia del giorno, può ispirare l’invito a preparare la propria dimora alla festa del Natale cristiano: la dimora fisica, attraverso il presepe e gli altri segni del Natale; la dimora del cuore, attraverso la confessione sacramentale.

don Paolo Tomatis

 
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