Riprendiamo, nella consueta rubrica liturgica, la rifl essione sulle esequie, rinviando per la lettura degli articoli precedenti al sito internet della diocesi (sezione: Argomenti). Molto cè ancora da dire, e soprattutto da fare, perché la Chiesa non si limiti a subire linevitabile incrocio tra lesigenza religiosa della cosiddetta religione civile (la quasi totalità dei funerali si svolge ancora in chiesa) e la proposta cristiana della fede.
Seppellire i morti e consolare gli affl itti appartiene al dna del cristianesimo: ma pure a quellumanesimo che si prende cura dellumano in tutte le sue forme e situazioni di vita. Tale cura prende la forma di parole, gesti, riti, rivolti al morire e a coloro che sono nel lutto. Sono gesti e riti che se valorizzati possono essere ancora capaci di stabilire un legame di coesione sociale, tanto più prezioso in questo tempo di crescente individualismo, nel quale si sbriciolano i legami sociali primari (la famiglia, il vicinato). Sono gesti e riti che possono e devono essere capaci di dare voce e linguaggio allesperienza della morte, che sempre ha a che fare con il sacro, qui inteso come quelloltre della vita che ci interpella ed insieme ci supera.
La Chiesa è forte di una tradizione plurisecolare, che si esprime in parole di senso, gesti di prossimità, riti di speranza. E tuttavia non può adagiarsi in una stanca ripetizione dei propri temi e delle proprie istituzioni. Occorre affi nare una parola sempre più sobria e profonda dal punto di vista teologicospirituale (sulla morte, sui temi dellescatologia, sullanima e sul corpo, sul dolore e sul destino). Occorrono gesti e riti capaci di lasciar trasparire la consolazione di Dio e della comunità.
Tutto questo in un contesto di crescente commercializzazione del servizio funerario, che si traduce in unofferta di servizi sempre più concorrenziali, tesi ora a personalizzare levento funebre, ora ad occultarlo il più in fretta possibile, sollevando le famiglie da tutti quegli impegni (lavare e vestire il corpo del defunto, contattare la parrocchia, organizzare il funerale
) che nei tempi passati erano considerati espressione di affetto e di pietas.
Lindebolimento delle tradizioni religiose (che tende a ridurre linsieme dei riti funebri intesi come riti di passaggio), la supremazia della tecnica e della scienza medica (che tende ad appiattire la morte in senso tecnico, allontanando non solo i parenti più prossimi dal malato, ma il malato stesso dalla propria morte), lindividualismo (che intende sollevare da ogni responsabilità i parenti, disponendo in anticipo e in piena autonomia la propria uscita di scena), sono un fatto evidente, da inquadrare in una tendenza generale alla rimozione della morte.
E tuttavia è importante sottolineare concretamente la presenza di indicatori contrari, quali la persistenza «locale» delle tradizioni relative alla gestione del lutto, soprattutto nei paesi; la crescente richiesta di personalizzazione del congedo dal defunto e dellelaborazione del lutto, sovente guardata con sospetto dalla Chiesa; laffacciarsi di nuove pratiche funerarie come la cremazione e conseguentemente la creazione di nuovi luoghi e riti che rompono il monopolio della Chiesa. Da tutto ciò la Chiesa è invitata ad interrogarsi sulla qualità spirituale, etica ed estetica dei propri riti, nonché sulla solidità e sulleffi cacia della propria azione pastorale. Concretamente ci soffermeremo nei prossimi numeri su alcuni temi quali: la cremazione e i problemi annessi (dispersione, affi do delle ceneri
); i linguaggi del rito da valorizzare (soprattutto la musica, il canto, i fi ori
); il contenuto dellannuncio cristiano nella predicazione; la possibilità di istituire e formare ministeri specifi ci per accompagnare il lutto, prima, durante e dopo il funerale; il rapporto con le agenzie di pompe funebri.