«Da oggi a Torino, la cremazione è un servizio a spese del Comune. La cremazione non cancella il ricordo. Non brucia lanima. Non è peccato. E non prende spazio». Lannuncio pubblicitario, comparso qualche anno fa sulle strade delle nostre città, è visualizzato da un angelo tutto doro, che sorregge nella mano destra unurna cineraria. Colpisce nel manifesto il riferimento a temi religiosi, quali lanima, il peccato, langelo, tesi a placare la polemica con cui nei secoli passati si è proposta la pratica della cremazione.
Pur essendo una pratica antichissima, la consuetudine di bruciare i morti non è infatti stata mai adottata dai cristiani. La motivazione era di ordine non solo culturale (la fedeltà alla tradizione giudaica e agli usi del tempo), ma pure teologico: contro le pratiche pagane di incenerimento e imbalsamazione, la Chiesa ha mantenuto un certo equilibrio tra lannientamento che distrugge il corpo e la mummifi cazione che cerca disperatamente di strapparlo alla corruzione. Per i cristiani, il modello della sepoltura rimane quello dellinumazione di Gesù, primo seme gettato nella terra in vista della risurrezione. È a partire dal 1700 che la pratica cremazionista è stata rilanciata, per ragioni igienicosanitarie, oltre che ideologiche (la negazione dellimmortalità dellanima e il rifi uto del dogma della risurrezione della carne nellanticlericalismo di stampo massonico).
Lautorizzazione della cremazione da parte della Chiesa (dal 1963) è pertanto condizionata alla garanzia che tale scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana. Lincinerazione dei cadaveri, infatti, non tocca lanima e non impedisce allonnipotenza divina di ricostruire il corpo: per questo motivo non costituisce un gesto intrinsecamente cattivo o di per sé contrario alla religione cristiana. La viva raccomandazione è comunque quella di custodire la tradizione di seppellire i cadaveri (Codice di diritto canonico, 1176, 3), ricorrendo alla cremazione solo in caso di necessità. Una raccomandazione che deve essere accompagnata dalleducazione ad una complessiva sensibilità spirituale e pastorale relativa al morire e al lutto, che si traduce a sua volta in tanti piccoli atteggiamenti e decisioni: dai fi ori agli annunci funerari, dalle iscrizioni funebri alle tombe, dallo stile della preghiera alla cura della celebrazione. Diversamente, linvito a non ricorrere alla cremazione apparirebbe come una rigidezza isolata, a fronte dei vantaggi di tale scelta dal punto di vista economico (bara più semplice, incentivi dei Comuni, non necessità di successive esumazioni
) ed ecologico (minore ingombro di spazio
).
Intanto alcuni problemi insorgono, soprattutto nelle grandi città, dove cresce la percentuale delle cremazioni: la diffi coltà a sentirsi a casa nella cosiddetta «sala del commiato» del «tempio crematorio», fortemente segnata dallimmaginario massonico; la presenza di un rito civile di commiato, che per quanto si ponga in un atteggiamento di laicità ospitale, non è mai del tutto «innocente». Nella misura in cui fa riferimento a valori semplicemente umani, quali la pietas, il ricordo, appiattisce inevitabilmente il senso cristiano del morire e dellaffi dare a Dio i propri defunti.
Vi è poi la delicata questione della possibilità di disperdere le ceneri o di custodirle privatamente, recentemente resa attuabile da una legge regionale più precisa. Su questo ci soffermeremo nella prossima rubrica, per valutarne le ragioni della non opportunità. Una cosa è certa: oggi più che mai, la preparazione alla morte non è più solo un fatto spirituale e individuale, ma assume spiccate dimensioni etiche, relazionali e civili. Là dove bisogna scegliere come morire, urge una seria catechesi, a cominciare dai discepoli più vicini delle nostre comunità.
don Paolo TOMATIS