Sabato 23 novembre don Francesco Oddenino è tornato tra le braccia del Padre.
Lo ricordiamo con gratitudine e riconoscenza per il suo slancio missionario, testimoniato da una vita dedicata ai poveri, a stare con loro ed amarli. Nato a Piobesi Torinese (Torino) il 6 agosto 1933. È ordinato il 29 giugno 1957. È l’unico sacerdote diocesano ad aver compiuto quattro esperienze di fidei donum, recandosi in altrettante Diocesi latino-americane.
Parte, infatti, nel 1967, inviato dal Card. Michele Pellegrino, per la Diocesi argentina di Comodoro Rivadavia, da dove rientra nel 1983. Riparte l’anno successivo per la Diocesi di Città del Guatemala, inviato questa volta dal Card. Anastasio A. Ballestrero, e rientra nel 1989. Ritorna in Guatemala, dal 1990 al 1996, nella Diocesi di S. Marcos, inviato dal Card. Giovanni Saldarini. Infine, inviato dal Card. Poletto, riparte per la quarta volta nel 1999, per la Diocesi di Formosa, in Argentina, da dove rientra nel 2002. Ha trascorso l’ultimo periodo ospite della Casa del Clero “S. Pio X” in Torino.
Così parla della sua esperienza missionaria nell’intervista realizzata per il libro “Doni di fede” pubblicato dalla Diocesi di Torino nella ricorrezza ai 60 anni dall’enciclica “Fidei Donum”:
Cosa hai ritenuto più opportuno testimoniare, svolgere, realizzare, costruire in missione? Per quale motivo?
Innanzitutto non ho mai chiesto soldi, anche se mi sono trovato a costruire strutture e anche a ripararle, sia quando sono stato incaricato di erigere una nuova parrocchia nella zona operaia di Puerto Martin in Argentina; sia, dopo in Guatemala, per la costruzione di una nuova cappella a La Pascua, nella periferia della capitale. Nei miei sedici anni trascorsi in Patagonia, quando ero un prete viandante per le mie nove parrocchie, e facevo anche cinquanta chilometri in bicicletta per raggiungerle, sono sempre stato molto impressionato dalla capacità e dalla voglia di preghiera di quelle persone: è stata l’esperienza più bella. Ho imparato ad amarli e a stare con loro, che desideravano avere accanto un prete, quando era possibile, non solo per la Messa, ma anche per stare insieme, per parlarci. Ringrazio anche la Provvidenza per aver incontrato coloro con cui ho avuto modo di collaborare.
Che cosa ti ha insegnato questa esperienza?
La Chiesa missionaria è più umile di quella europea, più nascosta, maggiormente orientata al servizio, piuttosto che al dominio, al comando, al semplice catechismo: ho apprezzato questi valori e a comportarmi di conseguenza. Mi è restato un richiamo serio da tradurre in vita: non vivere solo del nostro passato, non gloriarci dei ricordi o delle presunte meraviglie operate, ma essere disposti e disponibili, anche interiormente, a staccarci persino dal presente, accettando fin d’ora il futuro in Dio.
Qual è stata la tua sensazione quando sei tornato a Torino?
Il ritorno (quello definitivo nel 2002) non è stato semplice, avendo trascorso in missione quasi trent’anni: al di là della buona volontà di tutti, ci si sente un po’ emarginati.
Ora, come ripensi a questa tua esperienza?
Con questa esperienza, Gesù mi ha dato una visione globale della vita e, ora, non desidero altro che tornare da Lui e dirgli grazie.