Intercettare, accompagnare, condividere. La nascente esperienza dell’Arcidiocesi

Articolo del Delegato arcivescovile per l'IRC su "Note di Pastorale Giovanile" - luglio 2024

Le parole guida

Queste riflessioni prendono forma grazie alla nascente esperienza che l’Arcidiocesi di Torino ha deciso di intraprendere con la riorganizzazione della Curia e degli ambiti pastorali ad essa affidati.

Vorrei che fossero delle parole a tracciare il cammino di questi pensieri, lasciando che siano esse a guidarci verso un orizzonte che ne faccia sintesi.

La prima parola è germogli.

Germoglio dice novità, sorpresa, evoca subito al cuore qualche cosa di inaspettato o, meglio, che ha un aspetto diverso da ciò che la pianta realizzerà. Germoglio dice promessa di futuro e al contempo apre alla speranza, evoca cura.

Quali germogli di vita cristiana, quali germogli di Chiesa, cioè quali aspetti, quali iniziative possono realizzare la bellezza di essere Chiesa e di annunciare il Vangelo a tutti, anche ai giovani che sono essi stessi dei germogli?

Ecco allora la sfida che consiste nel permettere di far crescere sul tronco della Chiesa germogli di novità che facciano rifiorire l’IRC e la Pastorale giovanile attraverso la comunità che è la Chiesa. Questo nascere, nutrirsi e vivere nel medesimo tronco permette ai germogli di creare alleanza, sinergia e relazione.

Questa immagine ci mette al riparo dal creare compartimenti stagni nei quali ogni attore recita la sua parte perdendo di vista il copione. IRC, Pastorale giovanile e Comunità cristiana sono e devono essere frutti dello stesso albero, devono non solo creare alleanza bensì essere alleanza.

La seconda parola è intercettare.

Questo verbo identifica l’azione attraverso la quale s’incontrano le persone lungo il loro cammino, si incontrano sulla strada verso il luogo dove sono diretti. Non cioè un incontro casuale, ma un incontro pianificato, voluto, cercato non sul nostro di cammino bensì sul cammino dell’altro, con l’intento di far poi la strada insieme. Questa è una bella immagine di Chiesa, sicuramente tanto cara a Papa Francesco: quella della “Chiesa in uscita”, della Chiesa cioè che esce per incontrare l’uomo.

Nel caso dei giovani, la parola intercettare credo renda bene l’idea, i giovani non vanno solo cercati vanno intercettati sul loro terreno e poi accompagnati dentro i loro percorsi, trasformandoli in percorsi di futuro. Come il pallone intercettato dal difensore in una partita di calcio, che grazie a quell’intervento cambia direzione o come quando Gesù intercettando sguardi cambiava le vite di chi si lasciava guardare.

Queste due prime parole fondano il percorso ed indicano la strada. I germogli sono l’interrogarsi sulle azioni da compiere. I germogli sono l’appartenere alla Chiesa Comunità. Intercettare è una azione di Chiesa in uscita. Intercettare è accompagnare e condividere il cammino creando percorsi di comunione.

La terza parola è delega.

Io non sono il direttore dell’Ufficio diocesano scuola, ma il delegato arcivescovile per l’IRC. La differenza tra direttore e delegato non è puramente linguistica è sostanziale. Significa che il Vescovo vuole occuparsi in prima persona non di un ufficio ma dell’IRC, dove la “I” sta per insegnamento e per insegnante.

Al centro, dunque, sono la missione (l’insegnamento della religione cattolica), le persone (insegnanti di religione cattolica) e il servizio (delegato per). Al cuore, dietro quell’apostrofo (per l’IRC), ci sono quei giovani che grazie all’ora di religione andiamo ad intercettare a scuola. La scuola è un loro luogo per eccellenza, intercettarli a scuola risulta fondamentale considerando il fatto che non possiamo più semplicemente aspettarli in oratorio o in Chiesa. Intercettarli per essere per loro oratorio e Chiesa nei loro territori nei loro luoghi e poi, con i tempi e la creatività del Signore saperli accogliere in oratorio, in Chiesa, in una parola in comunità.

La quarta parola è, appunto, comunità.

L’IRC non si può pensare solo a scuola, ma deve agire in comunità, in sinergia con la comunità educativa della Chiesa. Ecco allora spiegata la mia attività come delegato per l’IRC all’interno della Pastorale giovanile, della Pastorale della carità, della Pastorale della salute.

La Diocesi che si interroga sui germogli della pastorale ha ben presente che l’insegnamento della religione è un luogo privilegiato ove incontrare il mondo giovanile per porre domande di senso, per proporre percorsi di servizio, per insegnare a voler bene ed a volersi bene.

Pensarsi in sinergia, sentirsi membra di un unico corpo, significa comprendere che occorre fare rete, fare comunità, essere comunità. Fare comunità come strategia di azione, essere comunità come luogo ove le azioni si declinano e si vivono.

Queste seconde due parole fondano una operatività ed indicano il luogo ove sperimentarla. La delega è segno di cura. La delega è un servizio. La comunità è il modo di agire. La comunità è il luogo dell’agito.

All’inizio di queste riflessioni avevo indicato la necessità di trovare delle parole che ci potessero guidare verso un comune orizzonte. Occorre trovare una parola che compia unità e sintesi. Questo orizzonte comune sarà dunque la quinta parola.

La quinta parola è la parola “pastorale”. 

Forse a questo punto occorre dirci che non ci sono tante pastorali: la pastorale giovanile, la pastorale missionaria, quella della famiglia, etc., ma un’unica pastorale che le contenga tutte.

Se pensiamo al mondo dei giovani questo è particolarmente vero. Dobbiamo cercare contaminazioni e non ambiti, sinergie e non prerogative. La pastorale vista come un cammino insieme, cioè come un agire sinodale: forse è proprio questa la profezia che ci ha lasciato il Concilio Vaticano II, una Pastorale sinodale. Come l’IRC può inserirsi nell’orizzonte della pastorale, quali azioni l’IRC potrà intraprendere?

La dimensione pastorale dell’IRC 

Il Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica stabilisce i compiti didattici dell’insegnamento della religione cattolica precisandone la sua importanza e dignità culturale e storica. Non si tratta di fare catechismo o proselitismo, ma di prediligere, nell’insegnamento, aspetti culturali e pedagogici. Detto questo, quale il modo corretto di fare pastorale attraverso l’IRC? Prendiamo in esame i tre attori dell’IRC: Insegnanti. Insegnamento. Alunni.

Gli Uffici scolastici diocesani non possono esaurire i loro compiti espletando solamente i lori obblighi formali e burocratici che, pur essendo di vitale importanza, non rappresentano l’unico scopo del loro esistere. Essi debbono sicuramente svolgere un’azione pastorale verso i loro insegnanti, azione pastorale che richiami appartenenza e significato di una professione che si esercita per vocazione nella Chiesa locale. Penso si debba parlare di una pastorale a favore degli insegnanti, dalla quale far scaturire un’azione pastorale svolta dagli insegnanti stessi.

Personalmente, ho scelto di intraprendere un’azione di visita alle scuole ed alle Unità pastorali nelle quali le scuole sono inserite. Rendermi vicino visitando le scuole risulta per me molto importante al fine di comprenderne dinamiche, esigenze, criticità e buone prassi.

La visita dei territori e la conoscenza personale dei docenti sono fondamentali per poter svolgere il compito di formulare correttamente le “intese” (l’intesa consiste nell’accordo tra Ordinario Diocesano e Dirigente Scolastico per l’assegnazione della cattedra ad un determinato docente). Abbiamo anche avviato degli incontri con le Unità Pastorali in modo da far incontrare docenti, parroci e membri dei Consigli pastorali, al fine di pensare linee d’azione pastorali comuni.

Credo fortemente che, in ottica pastorale, sia necessario ripensare il modo d’insegnare l’IRC. I contenuti e le finalità sono definiti molto chiaramente dal Concordato; tuttavia, le modalità sono aggiornabili con creatività e ricerca di senso. L’ora di religione deve essere percepita come una lezione diversa da tutte le altre e l’insegnante come punto di riferimento per gli alunni e per l’istituzione scuola.

In questo orizzonte, possiamo svolgere azione di “pastorale” perché possiamo porre domande di senso, insegnare una progettualità valoriale e porre la materia come punto di riferimento per la crescita personale.

Conclusioni 

Ho scritto conclusioni, ma in verità avrei dovuto scrivere sogni, speranze. Il progetto dell’Arcidiocesi di Torino ha preso avvio ed io ci credo fortemente. I ragazzi oggi sono come dei camminatori sbilanciati, con un piede sul marciapiede e l’altro sulla strada, e non riescono a trovare equilibrio. Con un piede sono nella nostalgia di Dio che alberga nei loro cuori e con l’altro nella difficoltà di imbattersi in esperienze in grado di appassionare in maniera concreta le loro esistenze.

Desidero che, anche tramite le possibilità consentite dall’IRC, la Chiesa possa esercitare la sua azione pastorale tra i bambini, i ragazzi ed i giovani offrendo loro percorsi di accompagnamento ad una crescita umana che li porti alla fede e alla scoperta del Signore, cuore di ogni azione ecclesiale.

Stefano Capello, delegato Arcivescovile per l’IRC – Torino
(pubblicato su «Note di Pastorale Giovanile» – luglio 2024»

 

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