Il 30 settembre 2023, nell’Assemblea del Clero svoltasi al Santo Volto, l’Arcivescovo ha invitato i preti e i diaconi delle diocesi di Torino e Susa a confrontarsi sul tema «Chiesa e ministerialità». Di quali ministeri le nostre chiese hanno bisogno per rendere accessibile a tutti, oggi, la straordinaria bellezza del Vangelo? Intorno a questa domanda di fondo, come un suo corollario pratico, se ne sono aperte altre: quali trasformazioni saranno necessarie nel modo di pensare e di vivere il ministero ordinato, in relazione alle ministerialità che saranno istituite e a quelle che, di fatto, servono lo stare al mondo delle nostre comunità? Quali dovrebbero essere i profili di questi nuovi ministeri? E quali i criteri e gli attori del discernimento?
Dopo la relazione dell’Arcivescovo, che ha offerto la trama di fondo e la cornice teologica entro cui pensare i mutamenti, il confronto è avvenuto per tavoli, in modo da permettere l’ascolto e la presa di parola di tutti. L’obiettivo non era arrivare a decisioni immediate e definitive, quanto aprire uno spazio ed un tempo per farsi delle domande insieme e per cominciare/continuare a cercare insieme direzioni di risposta.
Questo lavoro di ascolto e di dialogo continuerà in modo diverso durante tutto l’anno, con il coinvolgimento delle comunità (parrocchiali). Infatti, come annunciato, l’erigendo Istituto della formazione sta mettendo a punto alcune proposte che permetteranno l’ascolto largo di molti e il confronto con e tra laici, consacrate e consacrati, diaconi e presbiteri. In questo senso, l’anno zero si rivela prezioso: favorisce una riflessione corale e di cui l’équipe farà tesoro, permetterà di sperimentare la piattaforma formativa, e anche di imparare, in itinere, da alcune esperienze che saranno accompagnate.
Che cosa è emerso nel confronto di quella mattina? Non mi propongo, qui, di offrire il resoconto sistematico del lavoro ai tavoli. Desidero invece, tra le molte questioni emerse, rilanciarne alcune in modo sintetico, quasi per punti. Sono attenzioni da non perdere di vista, istanze che meritano di essere tenute aperte e approfondite, elementi “nuovi” e altri già largamente condivisi.
Non dimenticare la storia, valorizzarla
In generale, nei diversi report, si può leggere trasversalmente l’invito a camminare con pazienza con tutta la diocesi, anche tenendo conto della storia formativa del passato e, in particolare, riprendendo ed evidenziando maggiormente il legame tra i passi che si stanno facendo quest’anno e il lavoro sui germogli che ci ha impegnato lo scorso anno. Peraltro, proprio la ricerca dei germogli ha fatto emergere, anche dal punto di vista dei ministeri, alcune esperienze di corresponsabilità e di collaborazione che andrebbero tenute presenti. È interessante anche la proposta di cercare il confronto con l’esperienza missionaria di altre diocesi, in Italia e non solo.
Nuovi ministeri. Quali?
Quanto ai nuovi ministeri, al loro profilo e alle loro funzioni, molti degli spunti raccolti possono funzionare come alert, come attenzioni da non tralasciare e che, senza necessariamente portare a moltiplicare il “tipo” di figure istituite, possono essere integrate nei compiti di qualcuna delle cinque indicate dall’Arcivescovo.
Per esempio, il richiamo all’importanza del coordinamento della pastorale giovanile o dell’Oratorio – come è stato richiesto da molti – o della pastorale familiare, oppure l’invito a distinguere il coordinatore di attività di primo annuncio da quelle della catechesi, aiutano a precisare i compiti del coordinatore dell’annuncio e della catechesi, approfondendo, in modo interessante la comprensione della pastorale catechistica, oltre la riduzione, di attività per i bambini.
In questa stessa direzione possono essere recepiti i richiami a un servizio di lettori e accoliti che vada oltre il puro ambito liturgico celebrativo e quelli relativi all’esercizio del ministero del coordinatore delle attività caritative in un senso più largo. L’attenzione alle fragilità, all’ascolto dei bisogni del territorio, alla sinergia con gli enti locali non parrocchiali possono caratterizzare quel ministero. Nei prossimi mesi, senza rigidità di specializzazione eccessiva, eppure con maggiore precisione di dettaglio, si continuerà a metterà mano al “che cosa fa” ciascuno dei ministri istituiti.
Rispetto alle cinque figure indicate, un vero elemento di novità, emerso nella quasi totalità dei gruppi, è la richiesta di una ministerialità legata all’amministrazione dei beni. In generale, si condivide la necessità che questo lavoro graduale sulla ministerialità sia mantenuto aperto e in dialogo con quello, pure avviato, sulle forme di presenza sul territorio e sulla riforma della Curia. Perché un cambiamento non va senza gli altri.
Discernimento
Insieme alla fatica, prevista da qualcuno, dello “scouting” di persone disponibili – oggi, la continuità nell’impegno sembra essere fragilizzata – si ribadisce la necessità di un processo che articoli il livello personale (evitando le sole autocandidature), comunitario (qui inteso nel senso di parrocchia o di gruppo di parrocchie) e ecclesiale (il Vescovo con e attraverso l’équipe dell’istituito). La posta in gioco è alta. Oltre a competenze teologiche, pastorali e relazionali, ciò che è da curare e da non perdere è la radice spirituale del servizio e la natura ecclesiale del suo esercizio: promuovere il bene di tutti, non il benessere proprio.
Formazione
Un’autentica ed efficace formazione trasformativa va vissuta in chiave plurale, superando l’idea di un semplice allenamento all’esercizio di un ruolo o di un apprendimento puramente teorico ed intellettuale. A questo riguardo, segnalo tre soglie di attenzione che il confronto di fine settembre rilancia. La necessità di una formazione anche su come lavorare in gruppo, su come prendere una decisione, sulla “gestione” dei conflitti… Il desiderio di una formazione fatta insieme che vada oltre la separazione della formazione dei preti/diaconi – presenti e futuri – e quella dei ministri battesimali. E infine, l’importanza di una “formazione battesimale”, di base, di tutta la comunità. Ciò che è in crisi è la fede, qualcuno dice, sollecitando la possibilità interessante di una formazione sui fondamenti del Cristianesimo.
Abbiamo davvero bisogno di nuovi ministri?
La domanda, provocatoria e radicale, è risuonata in qualche tavolo. La raccolgo perché questo permette di ritornare al cuore della questione. Istituire i ministeri non significa dire che tutti dovranno essere istituiti. La logica ministeriale si sposa felicemente con la logica missionaria. Ed è dentro questo orizzonte della missione che si stanno ripensando le ministerialità.
Che cosa significa concretamente? Da una parte vuol dire che «il prete non deve fare tutto non solo perché non ne ha (più) la possibilità. Ma perché egli deve rispettare la corresponsabilità battesimale di tutti e, d’altra parte, deve onorare la collaborazione ministeriale di alcuni» (Alphonse Borras). E, dall’altra, come dice Gilles Routhier, «i laici che svolgono attività pastorale non sono surrogati di preti, ministri per un tempo di crisi da chiamare in soccorso per “rimpiazzare” i preti e per “supplire”, in circostanze eccezionali, al loro invecchiamento o al loro calo. Invece stanno lì perché lo esige il servizio del Vangelo nel mondo di oggi. Il loro apporto è originale e particolare, il loro servizio specifico, il loro dono proprio e la loro missione autentica. Non prendono il posto di un altro, prendono semplicemente il posto che è loro e che spetta loro nella riorganizzazione della missione della Chiesa in questo luogo».
don Michele ROSELLI, Vicario episcopale per la formazione su «La Voce E il Tempo» del 29 ottobre 2023