“Attenzione a chi resta solo in questi giorni d’estate”: intervista all’Arcivescovo

A ridosso della pausa estiva, sul settimanale diocesano "La Voce E il Tempo", mons. Nosiglia fa un bilancio delle criticità ancora aperte in Città

Pubblichiamo di seguito l’ampia intervista all’Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, pubblicata sul settimanale diocesano «La Voce E il Tempo» del 30 luglio 2017.
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Mons. Nosiglia, d’estate la città diventa un luogo ancora più difficile per le persone povere e sole?
L’estate è un tempo propizio e utile, che offre maggiori opportunità di riposo e riflessione – e tutti ne abbiamo bisogno. Purtroppo non possiamo dimenticare che tante persone e famiglie non hanno questa possibilità. Soprattutto i poveri restano spesso dimenticati o trovano porte chiuse anche là dove sono accolti durante il resto dell’anno. E questo aggrava la loro solitudine di tanti anziani in particolare e i problemi delle persone che normalmente sono assistite e accompagnate. Ho già chiesto alle organizzazioni ecclesiali ma chiedo anche a quelle laiche e alle famiglie di attivare, ovunque possibile, quei servizi di prossimità e vicinato, che chiamo di «emergenza solitudine» simili all’emergenza freddo dell’inverno. La presenza di questo volontariato sarebbe un segno forte, mostrerebbe il volto di una città capace di continuare a svolgere il suo compito di accoglienza e sostegno solidale per tanti suoi concittadini che ne hanno bisogno.

Nel giorno della Festa di San Giovanni lei ha parlato di alcune criticità che sono tutt’ora presenti nella nostra città e riguardano la mancanza di lavoro soprattutto per i giovani, la formazione anche sociopolitica e un welfare generativo e di comunità: che cosa fa la Chiesa di Torino in questi ambiti?
La nostra Chiesa ha attivato e porta avanti una serie non solo di proposte o programmi ma di azioni concrete sia nell’ambito del lavoro che della casa e della accoglienza e promozione integrale di ogni persona e famiglia. L’Agorà del novembre scorso ha indicato alcune vie che sul piano del lavoro ad esempio stiamo percorrendo mediante il Laboratorio metropolitano avviato in questi mesi e che ha una funzione specifica: accompagnare i giovani sia nella scelta degli studi e sia dopo nel momento di ricerca del lavoro. il Laboratorio si raccorda fra territorio e imprese, promuove la formazione e qualificazione per essere all’altezza del mercato del lavoro, aiuta i giovani e le loro famiglie ad acquisire una cultura del lavoro (ogni lavoro è di per sé nobile e bello e di valore). E ancora, attiva percorsi di imprenditoria giovanile mediante un legame stretto tra formazione al lavoro e welfare.

Sul welfare i nostri Centri di ascolto e di sostegno Caritas, San Vincenzo e altre realtà similari che sono diffusi in tutta la città e la diocesi, hanno quintuplicato le presenze e sono ormai impossibilitati a dare ulteriori risposte, anche solo parziali, a chi chiede aiuto. Di fronte a questa realtà assistiamo al perpetuarsi di un welfare impegnato prevalentemente a razionalizzare le spese, distribuire sussidi a pioggia lasciando tutti insoddisfatti, e in ultima analisi tagliare le risorse. Le riduzioni di bilancio sono la via più immediata che può sembrare la più concreta ed efficace, ma non raggiungono lo scopo se non sono accompagnate da un’azione concreta e coraggiosa contro lo spreco delle risorse e del personale pubblico (che non è poco), contro le prebende e le consulenze che servono solo ad occupare posti per ragioni più politici che economici, e soprattutto se non c’è una progettualità positiva di investimenti mirati a quei settori che hanno la potenzialità di moltiplicare le spese fatte in nuove fonti di ricchezza per tutti.

Occorre poi ricordare che molti fondi per il welfare provengono da patrimoni di ex Ipab, che furono a suo tempo lasciati alle istituzioni pubbliche e altri a realtà religiose, proprio per sostenere i più bisognosi. Non si vorrebbe che tali risorse venissero ora indirizzate ad altre «priorità» magari per fare cassa, andando a modificare le motivazioni per cui erano destinati.

Questo significa che a Torino la Chiesa ha come suo primario compito quello del sociale?
No. Sarebbe una lettura riduttiva e distorta della realtà. La Chiesa opera a favore delle varie povertà con il massimo impegno, risorse e volontari, ma il suo compito non si esaurisce nel dare una risposta, pure necessaria, a questo ordine di problemi. Per la Chiesa si tratta prima di tutto di «dare anima» alla carità, invitare e mostrare a tutti la gioia del dono e della fraternità solidale. Quando papa Francesco due anni fa è andato al Cottolengo ha detto con chiarezza: «La ragione d’essere di questa Piccola casa non è l’assistenzialismo o la filantropia ma il Vangelo. Il Vangelo dell’amore di Cristo è la forza che l’ha fatta nascere e che la andare avanti. L’amore di predilezione di Gesù per i più fragili e deboli». E questo tenendo sempre presente il principio che non si può dare per carità ciò che è dovuto per giustizia.
Siamo convinti che la prima fonte della giustizia e della solidarietà è il Vangelo, perché cambia la vita di ogni persona e la apre all’amore verso tutti, ma è anche la leva che rinnova la città e fa sì che la stessa politica sia a servizio di ogni persona, famiglia e comunità.

Tutta l’azione sociale della Chiesa è mossa dal Vangelo accolto e annunciato, perché solo così ogni persona al di là della sua fede religiosa sappia trovare la via che conduce a Dio e comprenda che non di solo pane (lavoro, casa, sussidi e servizi) vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla sua bocca. Non possiamo trasformare la Chiesa in una agenzia di servizi anche perfetti e apprezzati da tutti, perché questo snaturerebbe il suo ruolo anche sociale e farebbe dimenticare ciò che diceva Galileo Galilei: «Non è proprio della Bibbia dire come è fatto il cielo, ma indicare la via che conduce al cielo». Possiamo tradurre oggi lo stesso principio: non è proprio della Chiesa fare politica e agire in campo economico e finanziario, ma indicare le vie che sono chiamati a percorrere quanti sono responsabili di tali ambiti e li devono affrontare e gestire secondo scelte di giustizia, equità, solidarietà per la piena promozione di ogni cittadino e dell’intera cittadinanza. La Chiesa ricorda però a tutti che «Se Il Signore non edifica la tua casa invano ti affatichi notte e giorno. Se il Signore non custodisce la città invano veglia il custode» (Salmo 127).

Lungo le vie dell’annuncio del Vangelo e dell’opzione privilegiata per i poveri le nostre comunità camminano da tempo; e questo impegno comporta la testimonianza a tutti del valore fondamentale dell’amore di Dio e del prossimo. Non è un di più che riguarda solo i credenti, o un optional lasciato alla singola persona ma un dovere di tutti, al di là di ogni appartenenza.

Torino ha sviluppato in questi ultimi anni tante iniziative culturali e di arredo urbano, per far crescere una propria vocazione turistica. Come valuta questa scelta?
 Più volte mi sono sentito dire: cultura sì, ma anzitutto pane. È vero: il pane inteso nel senso di beni fondamentali per vivere è essenziale. Ma ho ricordato prima che non di solo pane si vive… Questa della promozione e del servizio culturale è sicuramente una via da percorrere, anche se all’inizio i risultati sono modesti perché la concorrenza è numerosa e agguerrita… Come Conferenza episcopale piemontese abbiamo firmato varie intese con la Regione proprio per tutelare e promuovere la conoscenza del nostro patrimonio artistici e culturale. Ricordo anche le iniziative culturali e musicali offerte a persone povere e in difficoltà. Proprio perché non si tratta di servizi che debbano essere disponibili solo per i benestanti… Non mi stancherò di chiedere che le belle iniziative culturali della nostra città non siano concentrate solo nel Centro storico e poco oltre, ma siano portate anche nelle periferie per contribuire a riconoscere la dignità e i diritti di tutti i cittadini e farli sentire membri effettivi della stessa comunità.

I beni e le iniziative culturali infatti sono una via necessaria per dare speranza e vigore di innovazione al presente e al futuro della storia personale e collettiva. Essi hanno pertanto una funzione sociale e comunitaria di prim’ordine. Per questo il grande Dostoevskij scrisse a ragione che «sarà la bellezza che salverà il mondo».

a cura di Marco BONATTI
(testo tratto da «La Voce E il Tempo» del 30 luglio 2017»)

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