Giovanni Battista è vestito di peli di cammello, mangia locuste e miele selvatico: perché, per annunciare la venuta del Regno di Dio, in realtà non serve altro. Se non, appunto, la fedeltà a Dio e alla sua parola. Quella che poi l’Occidente ha trasformato e coltivato come letteratura «apocalittica» è, all’origine, l’espressione dell’attesa bruciante del Regno di Dio, di cui Giovanni sa che la venuta è prossima. Non c’è, nel Battista, la paura della «catastrofe», ma sì l’invito forte a convertirsi, a comprendere finalmente che il Regno di Dio significa «potere di Dio», e non potere del mondo. Non sono le certezze della Legge, non è neppure la discendenza da Abramo che possano garantire la salvezza. Il Signore che viene per tutti, la salvezza riguarda il mondo intero; e a tutti viene chiesta la stessa cosa, di credere e quindi di cambiare vita. Mentre farisei e sadducei, le classi dominanti, vorrebbero credere «come prima», ma senza cambiare vita, senza comprendere la vanità del loro potere terreno…
Isaia aveva già «visto», secoli prima, questo scenario: dal tronco di Iesse, dal popolo ebraico, verrà un uomo su cui si poserà «lo spirito del Signore» (I lettura); e la sua profezia è orientata a disegnare i contorni di questi tempi nuovi, che saranno di pace e di giustizia. Pace e giustizia: cioè il contrario di come il potere opera nel tempo presente…
Giovanni è rappresentazione dell’attesa imminente del Cristo. In quel quadro sconvolgente che è il polittico di Isenheim, conservato a Colmar, c’è un anacronismo molto significativo: il pannello centrale rappresenta la crocifissione di Cristo. Il gruppo classico con la Vergine, Giovanni e Maddalena è sulla sinistra del quadro. Perché sulla destra l’unico personaggio è Giovanni Battista (che pure è morto da tempo, al momento della Passione!); il «fumetto» sullo sfondo riporta la frase evangelica: «Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca». Il cuore del cambiamento è qui.
Marco Bonatti