Si apre con le parole del premio Nobel per la Letteratura Svetlana Aleksievič, il numero di febbraio di «Donne Chiesa Mondo», il mensile femminile dell’«Osservatore romano» curato da Rita Pinci, che affronta il tema della guerra perché la prospettiva femminile sui conflitti non è solo questione di genere, ma risorsa cruciale per il futuro dell’umanità.
Da Berlino dove oggi vive, la giornalista e scrittrice nata in Ucraina, cresciuta in Bielorussia e vissuta in Russia, ha rilasciato una lunga intervista a Ritanna Armeni e Lucia Capuzzi. «Siamo tutti prigionieri di una rappresentazione maschile della guerra, che nasce da percezioni prettamente maschili, espresse con parole maschili, nel silenzio delle donne» dice. «Pensavamo che nel XXI secolo avremmo risolto i conflitti senza violenza, non è stato così. In alcuni articoli russi ho letto che questa è una “guerra di vecchi”. In effetti la generazione al potere è vecchia e ci trascina in un conflitto che appartiene al passato. Guardiamo le guerre di oggi: si combatte con mentalità da secolo scorso: occupazione, violenza, un modo di concepire il progresso solo attraverso la forza».
«Entriamo in questo mese nel terzo anno della invasione russa in Ucraina, nel mondo sono attivi oltre cinquanta conflitti e nel frattempo in Medio Oriente una crisi tira l’altra – scrive nell’editoriale “Donne Chiesa Mondo” -. Il dato allarmante è che nell’ultimo anno la percentuale di vittime femminili è raddoppiata rispetto al decennio precedente; è come se il mondo, sprofondando in una spirale di violenza, cercasse di soffocare proprio quelle voci che potrebbero indicare una via d’uscita».
Il giornale raccoglie testimonianze e storie di giovani donne che ricordano che la pace non è semplicemente l’assenza di conflitto, ma la capacità di immaginare e costruire forme diverse di convivenza.
Da Israele Alessandra Buzzetti racconta Lishay Miran Levi, 38 anni, la moglie di un ostaggio ancora in mano a Hamas, e Neta Caspin, 33 anni laureata in ingegneria alimentare, riservista che si è congedata firmando, insieme ad altri, una lettera a Netanyhau: non serviranno più nell’esercito, fino a quando il Governo non avrà liberato gli ostaggi.
Dalla Palestina la storia di Youmna El Sayed – 34 anni, dieci vissuti a Gaza, giornalista palestinese-egiziana, tre figli, che parla con Lidia Ginestra Giuffrida della sua scelta tra reporter di guerra e dovere di madre.
Ilaria De Bonis riporta i colloqui con Mariam, che ha circa vent’anni, tre figli, rifugiata tra i profughi di Malakal nel Sud Sudan e con Rachele, 17 anni, vittima di violenza nella Repubblica democratica del Congo, curata al Panzi Hospital, fondato nel 1999 da Denis Mukwege, il ginecologo più famoso d’Africa, premio Nobel per la pace nel 2018.
Raffaella Chiodo Karpinsky racconta le madri dei soldati russi e la loro diplomazia dal basso per riportare i figli a casa; Tiziana Lupi Barbara Caranza restauratrice specializzata nella protezione dei Beni Culturali in aree di crisi nonché ufficiale riservista dell’esercito italiano, che ha insegnato agli ucraini come proteggere le opere d’arte.
Carmen Vogani rivolge 5 domande a Rossella Miccio, presidente di Emergency.
Romilda Ferrauto ha incontrato a Roma Houda Fadoul, la monaca siriaca cattolica, che in Siria, per dieci anni, in pieno conflitto, è stata la superiora di Deir Mar Musa Al-Habashi (Monastero di San Mosè l’Etiope), fondato nel 1982 dal gesuita italiano Paolo Dall’Oglio, scomparso dal 29 luglio 2013 a Raqqa.
C’è poi la storia tragica di Vivian Silver che rappresenta il paradosso più straziante del rapporto tra donne e guerra in questi anni bui. Settantaquattro anni, israelo-canadese, attivista per la pace, è morta massacrata nel kibbutz Be’eri il 7 ottobre – proprio lei che aveva dedicato la vita a costruire ponti tra israeliane e palestinesi.
Della guerra che sottrae risorse alla salute delle donne parla, in una intervista a Diamante D’Alessio, Chiara Maretti, 48 anni, di Varese, ostetrica, da tre anni in Sud Sudan con il Cuamm, Medici con l’Africa. I fondi internazionali vengono dirottati sui conflitti più recenti, in Ucraina, in Medio Oriente, percepiti come emergenze. «Si chiama donor’s fatigue, la stanchezza del donatore, che vede l’Africa come una causa persa».
«Il patriarcato – sottolinea “Donne Chiesa Mondo” – ha fatto della guerra la sua espressione suprema, trasformando la differenza in gerarchia e il confronto in sopraffazione. Ma proprio dall’esperienza di marginalità, le donne hanno sviluppato un’intelligenza controcorrente: diplomazia invece di prevaricazione, creatività invece di distruzione, mediazione invece di imposizione. I numeri confermano questa intuizione. Come rileva l’Onu, la presenza femminile ai negoziati aumenta del 35% le probabilità di una pace duratura, anche se le donne rappresentano solo il 10% dei negoziatori globali».
Debutta in questo mese una nuova rubrica: «L’altra metà», affidata a rotazione a firme maschili: questo mese scrive Rafael Luciani, laico, teologo venezuelano.
La rubrica doppia «Placet / NonPlacet» mette a fronte una giornalista, Alessandra Comazzi, e una teologa, Marinella Perroni.
SpazioCinema di Gloria Satta racconta il film «Vermiglio.
Di artiste e guerra scrive il critico Gianluca Marziani.
Francesco Grignetti ricorda le suore al fronte durante la prima guerra mondiale.
Riflessioni finali su Santa Lucia e i femminicidi della scrittrice Tea Ranno.
Tutti gli articoli sono tradotti in quattro lingue e si possono leggere gratuitamente sul sito di «Donne Chiesa Mondo»: https://www.osservatoreromano.va/it/donne-chiesa-mondo.html