E fu rivoluzione…

Dopo la Riforma Protestante per reazione al «Sola Scriptura», il cattolicesimo aveva quasi oscurato la Parola, leggendola solo più… in latino. Ne derivarono conseguenze pesanti di cui paghiamo ancora il duro prezzo: l’annuncio cristiano, invece di essere proclamazione gioiosa dell’incontro con il Verbo fatto carne, spesso si ridusse a speculazione filosofica o moraleggiante; inoltre, si creò un vero monopolio in mano al clero, l’unico che poteva avere accesso diretto alla Bibbia e, con l’emarginazione dalle Scritture del restante Popolo di Dio, la carenza di una vera teologia del laicato e delle tematiche ad esso più pertinenti: il matrimonio, la sessualità, il lavoro, l’impegno sociale, l’ecologia…

 
 
Ma la vita cristiana si fonda sulla Parola di Dio: la Chiesa ci partorisce alla fede dotandoci di due «gambe» per il nostro cammino: l’Eucaristia e la Scrittura. Ed è per questo che il nostro procedere sulla «via» (At 9,2) del Signore spesso è zoppicante: ci manca la «gamba» della Bibbia! Il Concilio così si espresse in proposito: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai… di nutrirsi del pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la Sacra Tradizione, la Chiesa ha sempre considerato e considera le Divine Scritture come la regola suprema della propria fede… È necessario, dunque, che la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (DV, n. 21).
 
Ma l’accorata esortazione conciliare sull’importanza della Scrittura venne ben presto minimizzata o fraintesa. Infatti dopo i primi entusiasmi, con il proliferare di gruppi biblici e di corsi specifici di introduzione alla Scrittura, ben presto all’incontro personale con la Bibbia si preferì un approccio limitato, tramite lezionari con «brani scelti», o pii commentari che evitavano l’impatto personale con quella Parola che, spada a doppio taglio (Eb 4,12-13), giudica e mette a nudo le nostre incoerenze e ambiguità.
 
Si è poi assistito, in questi anni dopo il Concilio, a varie «letture deformate» della Parola. Una di queste è la «lettura parziale», così abusata nelle nostre comunità, in cui si scelgono i brani che interessano su particolari tematiche e se ne fa un bel collage, estrapolandoli dal contesto: la Bibbia viene usata come semplice «supporto» per una catechesi già invece preordinata. Anche tante «Missioni bibliche» parrocchiali o iniziative tipo «Il Vangelo nelle case», spesso non sono, nonostante il nome, un’introduzione alla Scrittura, uno sforzo per innamorare della Parola, ma il semplice utilizzo di qualche pagina della Bibbia per illustrare un prestabilito programma pastorale. Così la «lettura intimistica», antropocentrica ed egocentrica, coglie nella Bibbia solo una serie di dolcezze interiori personali, riducendola a strumento per la propria igiene mentale, mentre la «lettura politica» vede la Bibbia solo come sostegno a varie preordinate dottrine sociali.
Talora poi si arriva alla «lettura magico-meccanicistica» di taluni gruppi o movimenti che fanno aprire la Bibbia a caso assicurando che in questa lotteria spirituale il Signore rivelerà le sue volontà. E si potrebbe continuare con altri modi distorti di leggere la Scrittura…
 
Eppure i criteri per una corretta lettura della Bibbia erano stati esposti in maniera molto chiara dalla «Dei Verbum». Innanzitutto l’attenzione al senso letterale della Scrittura, individuandone i generi letterari con uno studio amoroso e paziente, con l’aiuto del metodo storico-critico e di tutte quelle scienze umane che possono contribuire a comprendere la polisemia dei testi: «È necessario che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso» (n. 12). Il Concilio ricordò inoltre la progressività della Rivelazione: «I libri del Vecchio Testamento… acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento, che essi a loro volta illuminano e spiegano» (nn. 15-16). Inoltre sottolineò la cristocentricità della Scrittura: solo Gesù «compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina… E non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo» (n. 4). Infine la Dei Verbum ricordò che la Scrittura va letta nella grande Tradizione della Chiesa: «La Chiesa… adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio» (n. 12).
 
A quarant’anni da quell’evento di grazia che fu la promulgazione della «Dei Verbum», credo davvero che tutti dobbiamo interrogarci su come vi abbiamo fatto obbedienza, come già ci invitava nel 1986 il compianto don Franco Ardusso nella sua relazione al Convegno torinese «Sulle strade della riconciliazione»: «Che ne abbiamo fatto delle indicazioni dell’ultimo capitolo della ’Dei Verbum’, la Costituzione del Vaticano II sulla Rivelazione? Quanto, di ciò che avviene nella nostra Chiesa, è normato, in profondità, dalla Parola di Dio ascoltata, meditata, pregata? Come si può ottenere il discernimento se manca la Parola di Dio quale ‘fondamento e alimento insostituibile del discernimento spirituale’?».
 
Carlo MIGLIETTA
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