Di seguito la dichiarazione dell’Arcivescovo in merito al pronunciamento della Corte d’Appello di Torino resa nota il 7 gennaio 2015:
«Due “madri”, e una sentenza che non aiuta. La Corte d’Appello di Torino ha stabilito, in un suo recente pronunciamento, che i diritti “genitoriali” su un bambino vanno affidati alla pari alle sue due “mamme”, la coppia omosessuale che aveva avuto il figlio grazie all’inseminazione eterologa. Le due donne, che poi hanno divorziato, si erano rivolte al Tribunale di Torino per la trascrizione dell’atto di nascita del bambino (le due “mamme” sono una cittadina spagnola e una italiana).
Senza entrare nel merito delle decisioni della Magistratura, ci sono alcune osservazioni che, con dolore e con preoccupazione, ci coinvolgono. Se è vero che l’ “interesse primario” da tutelare è quello del minore, non si può non notare come certe situazioni “limite” creino dei veri paradossi, giuridici ed esistenziali. Non si tratta di appassionarsi alla problematica legislativa, ma di constatare come l’espansione senza fine di certi “diritti soggettivi” porti a situazioni di grande confusione (giuridica e non solo), con il rischio che a pagarne le conseguenze siano prima di tutto proprio quei “minori” che si intende tutelare.
È importante che la Magistratura italiana, nei due gradi di giudizio, abbia comunque sottolineato l’attenzione prioritaria alla tutela della persona più debole: ma la crescita di questo bambino avverrà comunque in una situazione dove si incrociano diverse, obiettive difficoltà, legate in particolare all’assenza di un vero contesto familiare. È augurabile che l’affidamento congiunto alle due “mamme” stimoli il reciproco senso di responsabilità degli adulti in questione; ma non si può non rilevare che proprio il merito della vicenda giudiziaria si caratterizza per le “assenze” di vari presupposti: l’assenza di figure materne e paterne chiare, riconoscibili e “presenti”; l’assenza di un contesto sociale, culturale e normativo che metta in esplicito collegamento i diritti degli individui con i doveri dei genitori e dei cittadini.
Al di là della propaganda ideologica o politica, che cerca subito di tirare dalla propria parte la sentenza, ci auguriamo che nel buon senso della gente comune prevalga sempre il detto “di mamma ce n’è una sola”; e nessuna dichiarazione, anche trascritta nei registri come “madre A” e “madre B” potrà mai sostituire questa realtà nel cuore di un figlio.
Arcivescovo di Torino»