Di seguito e in allegato il saluto dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, al presidio dei metalmeccanici Fim Fiom e Uilm, nel primo pomeriggio di venerdì 14 aprile 2020 in piazza Castello.
«Sono presente qui con voi, cari amici, per portare il mio saluto caldo e affettuoso e quello dell’intera Chiesa di Torino. E ci sono di persona. Perché sento, come vescovo, il dovere di una presenza anche fisica dove ci si ritrova non solo per la difesa di posti di lavoro ma per un obiettivo più grande, il rilancio del nostro territorio, che subisce ormai da anni una «emergenza» che sta fiaccando le nostre vite e ci spinge verso un declino non solo economico ma sociale e culturale. Sono qui di persona, come di persona sono andato davanti alle fabbriche dove sono esplose situazioni gravi di crisi.
Le difficoltà del mondo del lavoro sono le difficoltà e le angosce di tutta la società torinese e piemontese. Vi confesso che a volte rimango stupito dall’indifferenza, dal silenzio imbarazzato di tanti a fronte di gravi situazioni di crisi occupazionale, quasi che le difficoltà degli uni poco importi alla città in quanto tale ma siano considerati fatti parziali, che riguardano i territori coinvolti. Vedo inoltre grande smarrimento e senso di impotenza. Si accetta passivamente il dispiegarsi dei fenomeni economici a cui assistiamo come se fosse un naturale svolgimento. Sembra che l’intervento umano e di chi ha responsabilità di governo sia ininfluente.
La realtà sociale ed economica è oggi molto complessa e articolata; proprio per queste ragioni non dobbiamo perdere la sensazione di poter governare responsabilmente la società. Sono stupito e preoccupato: perché rimango profondamente convinto che il lavoro sta alla base della dignità di ogni uomo e di ogni donna, il lavoro è vincolo e garanzia di una intera cittadinanza che voglia vivere la solidarietà come fattore fondamentale del proprio condividere insieme la realtà e le situazioni di vita proprie di ciascuno dei suoi abitanti.
Oggi il mondo del lavoro è profondamente cambiato, e di questo dobbiamo essere consapevoli. C’è il lavoro dipendente e il posto fisso, ma ci sono centinaia di altre forme e tipi di occupazione, con molte più variabili rispetto agli anni della fabbrica e delle otto ore. Bisogna essere aperti e pronti al cambiamento: ma questo non significa rinunciare a vivere le condizioni di lavoro con quella umanità, quella dignità che è propria di ogni persona e di ogni cittadino. Per affrontare i cambiamenti ritengo necessario che ogni organizzazione intermedia, ogni corpo della società e soprattutto le istituzioni pubbliche si sobbarchino la responsabilità di accompagnare le persone e organizzazioni nelle transizioni; chi viene lasciato solo di fronte ai mutamenti rischia di rimanere escluso dalla società.
Mancano oggi autentici punti di riferimento che siano in grado di prefigurare un futuro inclusivo per tutti. Viceversa la rabbia, lo sconforto e la frustrazione prendono il sopravvento, minando l’intero patto sociale su cui si edifica una società che ricerca la giustizia e il bene comune. Torino è ancora nel pieno di una transizione il cui esito non è per nulla scontato (e che ha bisogno di essere debitamente governato). A tutti rivolgo un appello: camminare insieme per disegnare il futuro di Torino, del lavoro e delle persone. Si tratta di un compito a cui non ci si può sottrarre; solo assumendosi responsabilità si può dire di essere classe dirigente.
Per tali ragioni e come sapete, dopo Natale ho voluto avviare un Tavolo per il lavoro. Non è soltanto un modo, per la Chiesa torinese, di essere presente e far sentire la propria voce. Mi sembra assolutamente necessario che, su una questione così importante, su un problema così decisivo come quello del lavoro, dell’occupazione, del suo rilancio debba esserci una convergenza in cui tutte le parti in causa si incontrano e ragionano insieme, ciascuno con le proprie competenze, ciascuno con le proprie responsabilità.
Il Tavolo è partito ai primi di febbraio, con l’avvio della cabina di regia che proseguirà incontrando esponenti dell’impresa e del sindacato, del sistema creditizio e delle istituzioni, della formazione e del volontariato. Vogliamo costruire una panoramica che ci aiuti a capire dov’è che possiamo spendere al meglio le nostre risorse per il futuro. L’attuale emergenza occupazionale, infatti, è strettamente collegata all’assenza di veri fattori di sviluppo che toccano tutti i settori del mondo produttivo. Basti pensare ai ritardi di cui patisce l’area torinese nel campo delle infrastrutture, tanto territoriali quanto digitali. Ma è il settore della educazione e della formazione ad ogni livello (famiglia, scuola di base e università, ricerca scientifica e innovazione tecnologica), l’ambito in cui è assolutamente necessario progettare interventi per il futuro. Questa capacità di autoformazione, di aggiornamento non la regala nessuno; è una realtà che ciascuno conquista a seconda delle proprie capacità ma anche grazie a un sistema, a un territorio che sia in grado di offrire sia occasioni di lavoro sia opportunità di formazione strettamente connesse. È per questi motivi che siamo qui, insieme».