«Ho trascorso qualche giorno in Albania con i vescovi del Piemonte, incontrando una realtà vivace e ricca di fermenti dopo gli anni difficili della persecuzione antireligiosa. Ma continuavo a portare nel cuore le realtà della mia diocesi e della mia città, in particolare per quanto riguarda i temi della famiglia.
Come ho scritto nella recente Lettera alla città “Mio fratello abita qui”, la famiglia è al centro di ogni impegno sia pastorale che sociale della Chiesa torinese. Molte sono le iniziative avviate sul territorio per venire incontro ai bisogni reali e urgenti di tante famiglie che, sia sul piano interno della vita di coppia sia su quello economico e sociale si trovano in grave difficoltà per la mancanza di lavoro, di casa, di accesso ai servizi sanitari e assistenziali – soprattutto per le persone anziane. Anche verso i giovani senza lavoro si sta operando per accompagnarli a trovare uno sbocco professionale che dia sicurezza di vita e di futuro.
È su questi terreni che la Chiesa di Torino auspica e incoraggia la massima convergenza di tutte le forze politiche e delle istituzioni, proprio perché la famiglia fatta di papà, mamma e figli va riconosciuta nella sua specifica soggettività sociale.
Questa scelta a favore della famiglia, per altro, non intende escludere nessuno. La Chiesa di Torino ha avviato da tempo varie forme di incontro con persone di diverso orientamento sessuale che vogliono confrontarsi sulla realtà della loro fede in rapporto con la vita e la dottrina della Chiesa. Tali esperienze, che si svolgono con discrezione e nel rispetto assoluto di ogni persona, hanno come unica condizione la serietà della ricerca di chi liberamente sceglie di partecipare. Non c’è dunque alcun motivo per lasciarsi trascinare in un confronto “ideologico” o puramente nominalistico, in dibattiti e polemiche che sembrano essere utili soltanto a chi li suscita, forse in cerca di nuove visibilità.
Ci conforta in questa scelta la parola stessa di Papa Francesco, che nella Lettera Apostolica Amoris laetitia scrive: “Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza”. Ma, prosegue il Papa, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie neppure remote per le unioni omossessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (AL, 250-251).
Anche per queste ragioni non possiamo condividere, nel linguaggio e nel metodo, lo stile con cui si sta affrontando il tema di una generica equiparazione tra la famiglia e altre forme, pure legittime, di unioni civili nella nostra città. Per quanto riguarda il metodo sarebbe molto più opportuno un coinvolgimento, cordiale e corresponsabile, di tutte le componenti civili culturali e religiose della città e degli stessi cittadini, che vanno riconosciuti protagonisti di scelte che li riguardano direttamente.
E per altro non tocca alla Chiesa di Torino, né all’Arcivescovo, fornire patenti di legittimità a chi dichiara di lavorare in favore della famiglia. La Chiesa segue con attenzione e incoraggia le esperienze sincere e non strumentali di tanti laici e associazioni in questo delicato settore. I cattolici impegnati in politica, nella cultura, nelle varie forme della società civile, hanno la piena libertà, e la relativa responsabilità, del proprio discernimento; e hanno il dovere di confrontarsi serenamente con i contesti istituzionali a cui fanno riferimento.
Arcivescovo di Torino»