Venerdì 15 marzo 2019, alle 12.15, nella Sala delle Colonne di Palazzo Civico, la Sindaca Chiara Appendino, il Prefetto Claudio Palomba, l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia, il Presidente di Compagnia di San Paolo Francesco Profumo, l’Assessora regionale all’Immigrazione Monica Cerutti, e l’Assessora comunale al Welfare Sonia Schellino, hanno partecipato a un incontro pubblico per fare il punto sullo stato di attuazione e i prossimi passi del percorso per la liberazione delle palazzine occupate all’ex Moi e sulle collegate attività finalizzate all’inclusione dei migranti.
Di seguito (e in allegato) le considerazioni dell’Arcivescovo:
«Sono lieto che la vicenda del Moi proceda secondo il piano e i tempi stabiliti insieme e si avvii dunque a una soluzione positiva, grazie ai diversi soggetti coinvolti: Comune, Regione, Prefettura, Diocesi di Torino e Compagnia di San Paolo. L’impegno di tutti è stato un fattore decisivo per avviare il Progetto e lo sarà ancora per portarlo a compimento, collaborando sempre insieme e d’accordo. È un “esempio di stile” importante: quando ci sono la volontà e l’impegno di affrontare i problemi sociali, secondo il metodo dell’Agorà, si riesce a moltiplicare le forze e le risorse sia economiche che di personale e di organizzazione; ma soprattutto si riesce a farlo con un’attenzione particolare alle singole persone o famiglie, secondo un percorso che rispetta e promuove la loro dignità, valorizza le rispettive attitudini e competenze, per un inserimento graduale ma concreto nel tessuto cittadino e nel nostro Paese.
Diamo atto alla stragrande maggioranza delle persone immigrate che abitavano il Moi per la disponibilità dimostrata ad accettare un percorso, che esige il loro responsabile coinvolgimento per raggiungere quell’autonomia che è l’obiettivo del progetto stesso. Le tappe stabilite di questo percorso avviato e che si snoderà anche nei prossimi mesi rispondono all’insegnamento di Papa Francesco che nel messaggio per la Giornata dell’immigrato indicava alcuni passi da compiere.
Anzitutto, l’accoglienza basata sulla cultura dell’incontro con ogni persona o famiglia, vissuta sul piano umano per condividere e rispettare le necessità specifiche di ogni persona, i suoi diritti di giustizia, i suoi problemi e le sue speranze. Questo approccio personalizzato è risultato vincente, perché ha fatto sentire ogni persona soggetto del proprio domani.
Ma l’accoglienza anche abitativa non basta a garantire una vita serena e dignitosa. Occorre procedere poi con l’accompagnamento, l’integrazione e la condivisione.
Accompagnamento vuole dire sostenere il progressivo inserimento nella nostra società mediante alcuni impegni, quali la conoscenza della lingua, della legislazione e della cultura del nostro Paese, l’inserimento lavorativo dopo l’eventuale orientamento e la formazione professionale.
L’integrazione non è assimilazione che induce a sopprimere o a sottovalutare l’identità culturale, religiosa e sociale di ogni persona che proviene da un Paesi diverso: essa comporta scelte e passi concreti, come quello del permesso di soggiorno, il superamento di ogni ghettizzazione delle persone e il riconoscimento dei loro diritti di giustizia, la valorizzazione delle specifiche competenze e concrete potenzialità di cui ciascuno è portatore, la possibilità di contribuire attivamente alla vita sociale e al bene comune della cittadinanza.
Infine, la condivisione, che considera ogni persona non solo destinataria di sussidi assistenzialistici, ma è volta a mettere ciascuno in grado di dare e non solo di ricevere. Ogni vera accoglienza non è mai a senso unico e vogliamo che diventi uno scambio di doni reciproci, per aiutarsi insieme a crescere nel rispetto, nella conoscenza, nell’incontro amicale, nella mutua collaborazione e nell’amore vicendevole.
Mi auguro che questo risultato possa ottenere un “effetto volàno”, che diventi un modello di riferimento per tante altre situazioni simili al Moi che riguardano soggetti anche diversi, ma ugualmente bisognosi di sostegno e promozione umana e sociale. Non penso dunque solo agli immigrati e rifugiati, ma anche a quell’ampia schiera di poveri italiani e non, che frequentano i centri di ascolto Caritas o le molteplici realtà che si investono dei loro problemi o i Servizi sociali; a tanti giovani che non trovano un lavoro; a chi subisce uno sfratto incolpevole; ai Rom; a chi vive sulla strada; a tanti minori non accompagnati; a chi stenta di procurarsi il cibo o le medicine e visite specialistiche; a chi è solo e abbandonato a se stesso… insomma, ad ogni persona che soffre e sollecita il coinvolgimento e la solidarietà di tutti.
Sono convinto – e lavorerò sempre per questo – che il “sistema Torino”, come viene giustamente chiamato, che attiva la collaborazione e l’impegno di più soggetti sia civili, sia istituzionali e religiosi, possa affrontare con efficacia i problemi della povertà e tante altre criticità ed emergenze che assillano la nostra città. L’intervento sul Moi, insieme a molti altri percorsi simili promossi dalle numerose realtà di volontariato e di servizi, che ogni giorno si occupano delle persone disagiate, rappresentano con tutte le loro difficoltà e criticità modelli virtuosi nel campo dell’accoglienza e della solidarietà, mai disgiunti dalla giustizia e dall’integrale promozione di ogni persona, di cui il nostro Paese ha bisogno e di cui noi tutti dobbiamo essere fieri».