Perché parlare di denaro? L’argomento denaro imbarazza. Non quando siamo in banca, o trattiamo un affare, o acquistiamo o vendiamo qualcosa. In questi casi va tutto bene e siamo a nostro agio. Ma se c’è di mezzo la Chiesa? Se ci sono i preti o i Vescovi, o addirittura il Vaticano? Insomma: Se c’è di mezzo la fede? Il denaro è profano, la fede è sacra. Possono essere mischiati? Ma la fede si incarna nella vita e la Chiesa è fatta di persone che esprimono nella comunità ciò in cui credono e vi ripongono le loro speranze vivendo nel quotidiano secondo le necessità concrete della vita umana. In questa rientrano anche le esigenze di provvedere ai bisogni per la chiesa fatta di mattoni, i suoi spazi da riscaldare e illuminare e, a volte restaurare; ma anche alle necessità di chi è strumento spirituale come i sacerdoti. Ma allora parliamo anche dei mezzi che consentono alla Chiesa di proseguire la sua missione! C’è il pudore di parlare del denaro, ma sarebbe sbagliato non parlarne e tacere o peggio nascondere. Giusto è invece parlarne apertamente, perché tutto sia alla luce del sole e tutti conoscano senza preoccupazioni o imbarazzi. Per comprendere cristianamente l’argomento di cui stiamo parlando, è bene sempre partire da ciò che la Parola di Dio ci indica. Partendo dalle due espressioni di S. Paolo: dalla lettera ai romani: «Gioite con chi gioisce, piangete con chi piange. Non aspirate alle grandezze, lasciatevi attrarre da ciò che è umile»; dalla Lettera ai Corinzi: «Quand’anche distribuissi tutti i miei beni ai poveri, se io non ho la carità, non sono niente».
L’obiettivo è: «educarci alla condivisione nella carità». Già la prima chiesa dichiara di aver bisogno di mezzi. Gesù stesso che seguito dagli apostoli non viveva d’aria, ma anche loro avevano il problema delle risorse a cui sappiamo provvedevano i discepoli, fedeli e seguaci. In particolare il Vangelo parla di alcune donne. Concretamente il denaro veniva raccolto e messo in una cassa e affidato ad un amministratore. E quale uso se ne faceva? Serviva ai bisogni di Gesù e dei discepoli, per rendere possibile la loro missione per il culto. Ed anche per aiutare i poveri. Quando poi la Chiesa cresce e si organizza, il suo messaggio è chiarissimo: la sua unica ricchezza è Gesù. E i beni terreni? Il denaro? Tutto dipende dal nostro modo di considerarlo. Noi usiamo luì, o lui usa noi? Chi è il padrone? Chi domina? Il vangelo parla chiaro: ci educa alla «condivisione nella carità». Nulla di ciò che ci è affidato è totalmente nostro. Ci è affidato perché possiamo tener conto delle necessità di chi vive accanto a noi. Dagli Atti degli Apostoli 4,32-35 «La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo ed un ‘anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti fra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno». Allora, ad esempio, si organizzavano collette per la Chiesa madre di Gerusalemme, perché potesse provvedere alle necessità delle chiese più povere, (dice S. Paolo) Ma viene ricordata la parola di Gesù: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere».
Passa il tempo, gli anni cambiano, la comunità cristiana si diffonde e si espande ed i cristiani hanno sempre capito quanto fosse importante che qualcuno lavorasse a tempo pieno per il Vangelo e fosse a completa disposizione della comunità. Hanno capito che è compito della comunità aiutare i poveri, gli ammalati e in genere i meno fortunati. Ecco le offerte che vengono in aiuto a tutta la comunità, sapendo anche che lo stesso Antico Testamento in Malachia 3,10 dice: «Portate le decime intere nel tesoro del tempio, perché ci sia cibo nella mìa casa; poi mettetemi pure alla prova in questo, – dice il Signore degli eserciti – se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi benedizioni abbondanti ». Allora l’offerta è un piacere, non solo un dovere.
diac. Giorgio CARLINO
(da «La Voce del Popolo» del 22 novembre 2015)