Di seguito pubblichiamo la lettera a firma di Alessandro Svaluto Ferro Direttore PSL- Antonio Sansone Segretario Fim Cisl Piemonte
RACCOGLIERE IL TESTIMONE, FARSI TESTIMONI!
Mercoledì 4 luglio si è celebrato il funerale di don Carlo Carlevaris, sacerdote della Chiesa torinese,
primo prete operaio della nostra diocesi e pioniere di cammini di amicizia con il mondo del lavoro. È
stata una celebrazione emozionante e commuovente perché ha richiamato il profondo spirito evangelico
di una scelta di povertà e di adesione al Vangelo che ha coinvolto tanti sacerdoti e molti laici presenti,
che tuttora credono nell’impegno dei credenti nella storia dell’uomo e per il mondo del lavoro.
È stato un avvenimento corale, che ha visto riunite le varie comunità di cui Don Carlo è stato attento e
impegnato promotore e animatore. La fraterna comunità dei preti operai, di cui è stato protagonista
fondante, affaticata dagli anni, dalla fatica operaia e, talvolta, ecclesiale. Una comunità che, lungi dal
vivere la dimensione di “ex combattenti e reduci”, è composta da sacerdoti che si interrogano sulle
prospettive di un’esperienza e di una missione a cui hanno dedicato la vita.
Vi era poi la comunità di persone, giovani e adulti, che vive o che è cresciuta nelle esperienze della
Gi.O.C. e dei CMO; persone che hanno guardato a Don Carlo (e alla sequela di preti da Lui promossa)
come all’ispiratore di una peculiare dimensione di impegno e testimonianza di fede nei luoghi e negli
ambienti in cui la vita li ha collocati.
Era presente alla funzione anche la comunità che partecipa e anima la Pastorale sociale e del lavoro della
Diocesi di Torino, inesausta esperienza che, dallo stimolo ricevuto da Don Carlo, si sforza di far vivere
la dimensione dell’impegno sociale e sul lavoro, in tutte le sue dimensioni, come passaporto di
partecipazione e piena cittadinanza alla vita della Chiesa.
A completare il panorama, era presente la comunità dei sindacalisti – di Fim e Cisl, l’organizzazione in
cui ha militato – ma anche di Fiom e Cgil, compagni di strada e di impegno di Don Carlo nella missione
vissuta nei luoghi del lavoro e dei lavoratori.
E poi, ancora, donne e uomini, singoli o di associazioni e gruppi che hanno trovato in Don Carlo un forte
riferimento per la loro vita.
Don Carlo e tanti altri sacerdoti del mondo della pastorale del lavoro, tra cui don Esterino Bosco, don
Matteo Lepori, don Gianni Fornero e don Mario Operti, hanno lasciato un segno indelebile nella storia
della nostra Chiesa, locale e nazionale. Non solo perché si ricordano gesti, azioni, progetti, scelte di vita
e sensibilità particolari che li hanno resi autentici testimoni del vangelo, ma soprattutto perché sono stati
capaci di essere generativi e di consegnare oggi un patrimonio umano, culturale, sociale, politico ed
ecclesiale che abbiamo il dovere di non disperdere. Nell’accompagnare Don Carlo al suo incontro con il
Padre, non abbiamo celebrato il funerale di un’importante stagione di vita nella società e nella Chiesa,
ma il sacro rito di un passaggio di testimone.
Non mettiamo la parola fine all’entusiasmo e all’impegno di un gruppo di chierici torinesi e di laici
militanti, ma vogliamo interrogarci su come, nel mutato contesto storico, dare continuità agli ideali sottesi
alla vita che Don Carlo e tanti preti e laici hanno speso per dare dignità e valore all’attuazione del Concilio
Vaticano II nella società, nei luoghi di lavoro, nella militanza d’ambiente, nelle associazioni.
Ricordiamo, a tal proposito, la parabola dei talenti in cui ognuno di noi è chiamato a non sotterrare i doni
e i carismi che il Signore ci ha donato. Anche la comunità cristiana torinese ha il dovere di interrogarsi
sui talenti che ha ricevuto: tra questi vi è quello di una forte sensibilità per il mondo del lavoro e
dell’impegno laicale nella società.
Sappiamo che sono stati, quelli vissuti da don Carlo e gli altri, anni di forti contrasti sociali, di lotte per
ridurre le diseguaglianze e di conflitti ideologici e politici molto aspri. È stata anche una stagione
ecclesiale molto feconda perché figlia del Concilio Vaticano II, ma anche molto complessa perché non
sono mancate divisioni, distorsioni e fratture nel mondo cattolico circa questa attenzione e passione per
il sociale e il politico. Oggi viviamo un’era sociale ed ecclesiale molto diversa, che non è più abitata dai
conflitti ideologici, ma spesso, troppo spesso, attraversata dall’indifferenza per questi ambiti della vita.
Per tale ragione la celebrazione di questa storia non può e non deve ridursi al mero ricordo di una stagione
conclusa, ma deve essere stimolo a continuare in maniera rinnovata l’impegno da credenti nella storia
dell’uomo; deve essere aperta al futuro e alla possibilità di proseguire il cammino. Per tale ragione
riteniamo che il miglior modo di rendere onore e fare memoria di questa ricca tradizione sia continuare
ad operare in tal senso. La storia non si ripete mai per come si è sviluppata, pertanto non possiamo avere
la pretesa di replicarla, bensì di operare nel senso dell’eredità. Lo ricorda Massimo Recalcati, nel suo
testo “Il complesso di Telemaco”, quando l’Autore, nell’analisi del rapporto tra le generazioni ricorda
che “l’ereditare non un ripiegamento verso il passato ma una “ripresa”, come spiegava a suo modo
Kierkegaard, un retrocedere avanzando”.
Alle variegate comunità riunite attorno a lui, Don Carlo porge l’invito a raccogliere il testimone per farsi
testimoni. Testimoniare che il lavoro e la società sono ambiti privilegiati e naturali per la pratica
dell’insegnamento cristiano e per vivere una dimensione di fede incarnata.
Non c’è un Papa Francesco che copre e giustifica tutti, ma ognuno è chiamato a professare l’impegno; il
Popolo di Dio non incontra nella sua vita quotidiana, Papa Francesco, ma i tanti cristiani presenti nei
luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle comunità territoriali; a loro passa, e sta a loro ricevere, il testimone
che Don Carlo trasmette. Associazioni e gruppi ecclesiali, chiamati a raccogliere la sfida del
multiculturalismo e delle differenti professioni religiose; sfidati a non erigere muri, ma a condividere le
condizioni umane e l’impegno a migliorarle nella libertà di esercizio del loro credo e nella tensione a
occasioni di preghiera comune. La Chiesa locale è chiamata a aprire continue occasioni di dialogo con
la condizione degli uomini e delle donne, nei luoghi e nei tempi in cui essi abitano l’esistenza.
Una Chiesa che veda un forte protagonismo dei laici, capaci di assumere e delegati a farlo, importanti
responsabilità e incarichi di pastorale e animazione sociale e di ambiente. Un testimone, nell’esperienza
di Don Carlo, che non è ascetica testimonianza solitaria, ma anelito a sporcarsi le mani, con i problemi e
disagi del mondo del lavoro; vivendo una dimensione di rete che superi le singole appartenenze.
Niente nostalgie quindi, ma solo consapevolezza delle proprie radici, con lo sguardo di chi, grato a questi
testimoni autentici della fede in Cristo, vuole continuare a dar seguito, con formule inedite alla sfida
dell’evangelizzazione. Celebrare le figure di don Carlo, don Esterino, don Matteo, don Gianni, don Mario
e di tanti altri ancora oggi impegnati in questa sfida deve essere una premessa per un impegno che
continua nella sua quotidianità e ordinarietà. Anzi non vi è miglior modo di mettere a tacere la storia
ponendola in una teca di cristallo: d. Carlo e gli altri amici, non sono da ammirare ma da imitare. La
sfida odierna non si pone sul senso dell’impegno della Chiesa nel e per il mondo del lavoro che continua,
oggi come ieri, ad affondare le radici nell’ispirazione evangelica; mutano invece le forme e le strategie
perché è la società che continua a cambiare, ma rimane lo stile antico e sempre nuovo che è quello
dell’incarnarsi oggi nella storia concreta, sullo stile del Figlio di Dio.
Per tali ragioni sentiamo l’esigenza, forti di una storia significativa e in qualche modo profetica, di
rilanciare due appelli.
Il primo è rivolto al clero torinese, affinché riscopra, anche tra le giovani generazioni, il senso profondo
dell’impegno della Chiesa nel mondo del lavoro, della società e della politica in senso lato. Ancora oggi
è importante avere dei sacerdoti che siano capaci di accompagnare il laicato a vivere la propria vocazione
battesimale, secondo lo spirito dell’incarnazione alla luce del Concilio Vaticano II. Sacerdoti che vivono
e conoscono le gioie e i dolori del mondo del lavoro, capaci di essere attivatori di percorsi di
discernimento alla luce del Vangelo e che aiutino a costruire comunità abitate dai problemi del mondo
del lavoro. Sacerdoti che siano in grado di far maturare nel laicato tale attenzione, di accompagnare
l’emergere di nuove vocazioni laicali robuste, serie, coerenti con la fede cristiana e che siano capaci di
assumersi responsabilità nel mondo.
Il secondo appello lo rivolgiamo al laicato, perché sia in grado di testimoniare la propria fede nei luoghi
della vita. Perché torni ad abitare con rinnovato protagonismo il mondo del lavoro, il sindacato, le
imprese, le associazioni e le istituzioni pubbliche, con la logica di essere lievito e sale nella realtà. Essere
credenti significa impegnarsi con coscienza e conoscenza in ambiti che travalicano i muri della
parrocchia: essere lavoratori, sindacalisti, imprenditori, cooperanti, formatori e politici è segno
dell’amore di Dio nella storia e nella società umana. Si tratta di una di quelle forme di Chiesa in uscita
di cui spesso Papa Francesco ci parla. Tali azioni sono costitutive ed essenziali per la testimonianza della
fede e non marginali per una vita evangelicamente ispirata. Ancora oggi questi mondi hanno bisogno del
segno tangibile del Vangelo e di gesti di solidarietà capaci di penetrare nella storia grazie all’azione dello
Spirito santo e con il contributo decisivo dell’azione umana. Abbiamo quindi bisogno di operatori di
pastorale sociale che siano in grado di abitare con responsabilità e passione evangelica i territori e le
comunità civili perché la sfida della testimonianza cristiana non può concludersi con il termine storico di
una stagione, ma con la rinnovata promessa di continuare ad operare nella storia con amore.
Coraggio amici, impegniamoci e partecipiamo a costruire una storia abitata dalla fraternità!
Alessandro Svaluto Ferro, direttore UPSL Torino
Antonio Sansone, segretario FIM Cisl Piemonte