Intervista – Il superiore generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza (Cottolengo), che solo a Torino conta 3 Rsa, ragiona sul futuro delle strutture assistenziali per anziani e disabili dopo un anno e mezzo di isolamento a causa della pandemia
Stefano Di Lullo
Le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) per anziani, ma anche le Rsd per i disabili, stanno finalmente tornando a riaprire le porte alle visite dei parenti dopo oltre un anno e mezzo di isolamento.
Abbiamo chiesto a padre Carmine Arice, superiore generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza (Cottolengo), che solo a Torino conta 3 Rsa, di ragionare sul futuro di queste strutture, descritte spesso dai media come fonte di problemi, alla luce della realtà odierna dove la popolazione anziana non autosufficiente, con pluri-patologie, è in costante aumento.
Padre Arice, nei difficili mesi della pandemia c’è anche chi ha invocato la chiusura delle Rsa proponendo l’alternativa dell’assistenza domiciliare. Alla luce dell’esperienza del Cottolengo e della realtà, come vede il futuro di queste strutture nel dopo pandemia?
Prima di tutto occorre sottolineare che le Rsa, come le Rsd, le Ra e i social housing, sono nate concettualmente per favorire la fraternità e la vicinanza degli ospiti accolti. Questo impianto originale, come ogni altra comunità (ospedali, carceri, famiglie numerose), ha facilitato il diffondersi del contagio. L’esperienza ci ha dimostrato che con i dispositivi di protezione individuale, che all’inizio della prima ondata non erano disponibili, e le vaccinazioni i contagi, e dunque i ricoveri e i decessi, sono calati di oltre il 90%.
Detto questo, dobbiamo prendere atto, alla luce dei dati disponibili sulla popolazione anziana non autosufficiente, anche da un punto di vista scientifico, che ci sono situazioni in cui la soluzione più adeguata e possibile non può che essere la residenza assistenziale, rispetto all’assistenza domiciliare.
Ne consegue, quindi, la massima attenzione al progetto di vita delle persone che si accolgono nelle strutture, che non devono essere soffocate da corrette procedure, spesso l’unica attenzione di coloro che vigilano sull’operato dei gestori, ma da adeguate proposte di vita che rispondano agli effettivi bisogni degli ospiti.
Mi domando, quindi, se sia stata la cosa più giusta aver isolato per un anno e mezzo le persone…
Quali sono, dunque, le sfide per il futuro?
Dobbiamo affrontare il futuro con alcune attenzioni: in primo luogo un’attenzione socio-sanitaria e assistenziale che risponda in modo adeguato alla domanda, anche da un punto di vista caritativo. Non dimentichiamo che gli anziani e i disabili sono persone che hanno bisogno di relazioni significative, ma questo certamente valeva anche prima della pandemia.
Dobbiamo poi mettere sempre di più al centro la qualità di vita dell’ospite facendo in modo che non siano solo le procedure ad essere determinanti circa l’organizzazione di una realtà, ma sia soprattutto lo scrutare come favorire al massimo il benessere della persona, che indubbiamente è dato dalle relazioni. Su questo punto c’è ancora molto cammino da fare ovunque, sia nel pubblico che nel privato.
Dobbiamo dunque adoperarci tanto perché non ci sia solo attenzione alla dimensione alberghiera, ma ci sia altrettanta cura della dimensione sociale e spirituale. Tutte queste dimensioni devono essere armonizzate.
Com’è al momento la situazione nelle Rsa gestite dalla Piccola Casa?
Nelle Case del Cottolengo, che in Italia accolgono oltre 1.500 tra anziani con patologie neurodegenerative o persone disabili con disturbo del neurosviluppo, abbiamo riaperto la visita ai parenti ed anche ai volontari. Gli ospiti, che sono in grado, possono anche uscire dalle strutture insieme ai propri cari. Le relazioni, come accennavo sono fondamentali, in quanto costituiscono il bene primario della persona.
Ora che le strutture hanno riaperto le domande di ammissione in Rsa stano crescendo. Sono certo che nelle nostre case torneranno a breve le liste d’attesa a cui eravamo abituati prima della pandemia.
Quali azioni la Piccola Casa sta portano avanti per garantire il massimo benessere degli ospiti?
In primo luogo bisogna fare in modo che i protocolli anticovid non siano l’unico riferimento nella gestione delle Rsa. Tenendo certamente conto delle procedure il riferimento deve prima di tutto essere la ricerca della qualità di vita delle persone ed il benessere degli ospiti, mettendo in campo azioni virtuose che, per esempio, ci permettano di affrontare un’eventuale nuova ondata di contagi o in futuro una nuova pandemia. Possiamo continuare a tenere isolate le persone ad oltranza o ci sono altre modalità per convivere con il virus, o i virus, preservando la salute e la vita nella sua complessità?
In secondo luogo alla Piccola Casa è stato recentemente costituito un Comitato scientifico che metterà a studio in modo precipuo il tema della qualità di vita nelle Rsa per anziani e nelle Rsd per le persone con disabilità in modo tale da strutturare un gruppo di lavoro che con approccio scientifico analizzi la questione del benessere e del progetto degli ospiti.
Come si concretizza questo lavoro?
Il rispetto di ogni persona accolta in struttura impone l’attenzione a indicatori della qualità della vita, mediante la versatilità di strumenti che ci aiutino a comprendere come potenziare allo stesso tempo il benessere, l’inclusione e l’indipendenza delle persone con disabilità.
Dobbiamo avere il coraggio di misure seriamente e scientificamente – e per questo il dibattito si presta per sua natura a progressivi approfondimenti – la capacità di creare luoghi abitativi salutari, relazioni interpersonali sananti e la capacità di offrire servizi capaci di concorrere a generare tutto il benessere possibile alle persone anziane e con disabilità. E questo non sarà possibile fin quando la gestione delle strutture avrà come unico criterio gestionale e verificabile la morsa delle procedure imposte dai criteri autorizzativi. D’altro canto, solo una dimostrata competenza assistenziale ed educativa, capace di rispondere ad una qualità di vita possibile delle persone accolte in struttura, è l’unica risposta che può competere in materia una soluzione diversa ad un’ipotetica chiusura delle Rsa.
E i sostegni pubblici?
Quello che mi spiace dover sottolineare è il fatto che a fronte di un servizio che cerca di dare il massimo per il benessere dei nostri ospiti non sono arrivati adeguati sostegni pubblici. Dalla Regione Piemonte, per esempio, al momento non è arrivato nulla. In Toscana, dove abbiamo altre Rsa, la Regione ha stanziato ed erogato un ristoro giornaliero per ciascun ospite affetto dal Covid.
Ci auguriamo, quindi, che questo possa succedere anche in Piemonte attraverso una sinergia più stretta tra istituzioni ed enti assistenziali. Occorre una cabina di regia che tenga conto delle risorse necessarie per garantire assistenza ed un progetto di vita adeguato in particolare nelle situazioni di maggiore fragilità.