Vita Consacrata e relazioni nella Chiesa Diocesana

Relazione dell'Arcivescovo di Torino Mons. Roberto Repole

Questa mattina, 27 agosto 2024, Mons. Roberto Repole Arcivescovo di Torino ha offerto un’interessante riflessione del tema scelto :

Vita consacrata e relazioni nella Chiesa diocesana

Per affrontare un tema così vasto, Mons. Repole ha seguito diverse strade, dando una visione più ampia, pur coinvolgendo la realtà dell’Ordo Virginum. Ripensando a questo tema nell’orizzonte del rinnovamento ecclesiologico che è avvenuto con il Concilio Vaticano II, la riflessione segue alcuni passi:

  • il rinnovamento ecclesiologico che si è sedimentato nei documenti del Vaticano II e come questo, sia pure implicitamente, interpelli un rinnovamento della vita consacrata;
  • la modalità in cui il Vaticano II offre delle vie per ripensare la vita consacrata mettendo in evidenza alcuni limiti e alcune virtualità;
  • un ripensamento più propositivo della vita consacrata nella Chiesa, intesa non soltanto come popolo di Dio, ma Popolo di Dio nella forma del Corpo di Cristo, vedendo una virtualità per la vita consacrata vissuta in relazione ad altri soggetti ecclesiali dentro la vita di una chiesa locale

Con il Concilio Vaticano II si è avuto un rinnovamento della visione della Chiesa, prima del Concilio la Chiesa era molto societaria, una società perfetta, non tanto perché fatta da perfetti ma perché aveva come fine la salvezza delle anime e la vita eterna, ma era anche una visione molto piramidale, societaria e gerarchica e la visione della vita consacrata dentro questa prospettiva ecclesiologica spingeva a mettere in evidenza lo stato di perfezione della vita consacrata quindi si comprende molto bene quanto profondo sia stato il rinnovamento offerto invece dai Padri Conciliari, sessant’anni fa, e che permette di capire il magistero attuale di Papa Francesco che attua una recezione nuova di quel rinnovamento dove si coglie la novità nel collocare la Chiesa nell’orizzonte del mistero di Cristo e del mistero del Regno di Dio.

Partendo dal primo capitolo della Lumen Gentium (nei paragrafi 2,3,4,5,6)  la Chiesa è vista in relazione a Cristo e in relazione al Regno, è il grande progetto di Dio che si manifesta nella storia e che non è esauribile dalla nostra ragione; la Chiesa è vista come l’umanità unificata da Dio e pensata come unificata da Dio in Gesù Cristo, sin dall’origine, e rappresenta il compimento della storia umana, dove le donne e gli uomini finalmente sono nella pace eterna, nella fraternità. Con il Vaticano II nasce la categoria del “Popolo di Dio ” cioè la comunità di donne e uomini che guardano con fede a Gesù Cristo, affidandosi completamento a Lui.

Le grandi virtualità che la riflessione conciliare ci offre a questo proposito e che ci interessano, volendo riflettere sulla vita consacrata e le sue relazioni dentro la vita diocesana, sarebbero moltissime:  anzitutto il fatto che “il noi ” precede “ l’io ” nella Chiesa a tutti i livelli. Questo comporta che tutto ciò che si dice dei soggetti ecclesiali, compreso coloro che rappresentano nella Chiesa la vita consacrata, deve essere inquadrato nell’orizzonte più ampio del soggetto collettivo Chiesa. La chiesa è un soggetto costituito da diversi soggetti che lo determina, ma ciascun soggetto, sia di singoli, sia di quelli che una volta si chiamavano stati di vita, (anche la vita consacrata) deve pensarsi sempre nell’orizzonte del “noi” soggetto costituito; sono alcune dimensioni che il Concilio ci offre in maniera abbastanza nitida.

Il Concilio usa lo schema dei cosiddetti “ tria munera ” cioè dei tre doni –  i soggetti vengono visti come profeti, sacerdoti e re sull’immagine e in relazione a Cristo che è l’autentico Profeta, Sacerdote e Re per eccellenza e questo stesso schema è usato per parlare di tutti i soggetti ecclesiali. Le altre novità che il Vaticano II offre, e che aiutano anche a ricollocare oggi la vita consacrata nella Chiesa, è  il fatto che si chiarifichi che l’unica vocazione di questo “popolo di Dio” e di tutti i soggetti, é la vocazione alla santità a cui sono chiamati tutti, la Chiesa è la comunione della chiese locali e in particolare con la chiesa che è in Roma presieduta dal suo vescovo che è il Papa; questa visione colloca le consacrate e i consacrati “delle cristiane e dei cristiani, seguaci di Gesù Cristo ” che vivono la loro vocazione anzitutto nella chiesa locale, la diocesi, che è in comunione con le altre chiese formando l’unica Chiesa Cattolica di Cristo.

Guardando alla vocazione specifica delle consacrate e dei consacrati, il Concilio afferma cose antiche e cose nuove per certi aspetti; nei testi conciliari la vita religiosa continua ad essere letta secondo lo schema dei tre consigli evangelici: castità povertà e obbedienza.

Prendendo spunto dal numero 43 della Lumen Gentium, dedicato proprio ai religiosi, i consigli evangelici sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e che con la sua grazia sempre conserva; questo schema, può risultare un po’ in contraddizione con il capitolo 2 sul “popolo di Dio” , dotato della stessa dignità di appartenere a Cristo, di seguire Lui, tutti ugualmente chiamati alla santità. Bisogna tenere presente, quindi, che i Padri Conciliari di sessant’anni fa, ci hanno fornito di testi conciliari importanti col Vaticano II ma non potevano risolvere tutto; ci hanno consegnato quello che la coscienza della Chiesa e della teologia poteva in quel tempo.

Ci sono però delle cose nuove, facendo riferimento all’ultima parte della Lumen Gentium numero 44, a mio parere,  la vita consacrata non ha a che fare con un sacramento, come quello dell’ordine, ma appartiene alla realtà della Chiesa in quanto tale. La novità è data dal fatto che  quando si cerca di cogliere lo specifico della vita dei consacrati e delle consacrate nella Chiesa, si coglie questa specifica indole escatologica, poiché infatti il popolo di Dio non ha qui una città permanente ma va in cerca della futura; lo stato religioso che rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, rende visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni celesti, meglio testimonia la vita nuova ed eterna acquistata dalla redenzione di Cristo, preannunziando la futura resurrezione e la gloria del Regno celeste. Si può cogliere una linea direttrice davvero importante che rilegge la vita consacrata nelle sue relazioni nella vita di una chiesa locale con una connessione con la dimensione escatologica della Chiesa.

Come proposta, sessant’anni dopo il Concilio, è ancora sufficiente definire la Chiesa il popolo di Dio?

Una lunghissima tradizione da San Paolo in avanti,  ci dice che la Chiesa è anche il corpo di Cristo, probabilmente l’idea del corpo di Cristo è addirittura più imponente che quella del popolo di Dio, in ogni caso, mi interessa dire che la chiesa è certamente il popolo di Dio, ma il popolo di Dio in una forma assolutamente nuova: in Gesù Cristo, in Lui, appartenendo a Lui e cibandosi continuamente di Lui. C’è un ritmo settimanale di incontro per la celebrazione eucaristica, che prima di essere un dovere sancito dal codice, è qualcosa che dice il nostro DNA. Noi siamo il popolo di Dio che diventa tale, di domenica in domenica, nutrendoci del Corpo di Cristo, rimanendo ancorati alla memoria del Crocifisso Risorto che ci hanno consegnato gli apostoli.

La Chiesa non è se stessa se, non trasfigura in nome del Vangelo, le realtà di questo mondo: gli affetti, la famiglia, l’economia, la politica, la scienza.

L’obbedienza e la povertà sono qualcosa che contraddistinguono tutta la vita dei cristiani, di tutti i cristiani in modi diversi, ma nella Chiesa esistono consacrate e consacrati che sono tali in forza del vivere la loro vita cristiana nella forma particolare della verginità per il Regno; questo loro modo di vivere esprime simbolicamente con grande forza l’attesa escatologica della venuta ultima di Gesù Cristo, richiamando tutto il popolo di Dio, tutta la Chiesa, camminando tutti insieme verso di Lui in una relazione strutturale degli uni nei confronti degli altri, in uno stile sinodale, come afferma Papa Francesco.

Concludendo, cosa potrebbe offrire la vita consacrata oggi?

Anzitutto mantenere vivo il carattere promissorio della risurrezione di Gesù con la verginità per il Regno, la promessa che noi tutti risorgeremo; mi sembra bello che ci siano in ogni chiesa locale, delle cristiane e dei cristiani che con la loro verginità per il Regno dicano “stiamo attendendo la risurrezione di tutti”. Viviamo in una cultura, che con il suo sviluppo tecnico-scientifico tende a non farci vedere le lacrime che si versano, la verginità per il Regno potrebbe rappresentare  un faro per dire “Gesù è risorto ma aspettiamo che quella risurrezione si compia in me e si compia in noi ”.

Come consacrate cercate di mantenere aperta la drammaticità dell’esistenza umana alla luce della Pasqua, alla luce di quel sepolcro vuoto, in cui si vedono chiaramente tutti i drammi della storia umana. Mantenere aperto il futuro, non come qualcosa che è frutto di ciò che noi uomini potremmo realizzare,  ma ciò che è frutto dell’intervento grazioso di Dio, un futuro che non dimentica il passato, lo raccoglie con tutte le sue vittime.

Mons. Repole conclude la sua riflessione con questo pensiero: “Sarebbe molto bello, che delle consacrate e dei consacrati mostrassero la serietà della preghiera nella Chiesa“.

 

Testo tratto dalla riflessione personale di Mons. Roberto Repole, a cura di EM

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